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Albatros

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VOTO: 4.5

Una barca di nome Albatros

Promette risvolti assai inquietanti l’immagine di un suicida che si è appena lanciato da una scogliera mentre una coppia di sposini è intenta a farsi scattare delle foto immediatamente dopo il matrimonio. Promette risvolti inquietanti soprattutto perché, appena pochi minuti prima, Laurent – protagonista del lungometraggio Albatros, ultima fatica del cineasta francese Xavier Beauvois, presentata in Concorso alla Berlinale 2021 – ha chiesto alla sua fidanzata storica Marie (madre di sua figlia) di sposarlo. Eppure, malgrado un incipit assai promettente e ricco di spunti, il lungometraggio finisce ben presto per sgonfiarsi pericolosamente come un palloncino, rivelandosi sostanzialmente un prodotto privo di sostanza e di mordente. Ma andiamo per gradi.

Laurent, dunque, è uno stimato poliziotto che vive in una piccola cittadina della Normandia. Tutto sembra andare bene nella sua vita privata, ma, per quanto riguarda le numerose situazioni che deve affrontare ogni giorno a lavoro, le cose stanno diversamente. A cosa porterà tutto ciò? Non per ultimo, v’è il prezioso modellino di una barca – l’Albatros, appunto – che per l’uomo significa molto, da sempre appassionato di vela e grande amante del mare.
Gli elementi necessari a mettere in scena una situazione ricca di pathos, dunque, ci sono tutti. Eppure, purtroppo, non è la prima volta che Xavier Beauvois si perde in un bicchiere d’acqua. Basti pensare, ad esempio, al recente La rançon de la gloire, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2014 e dove la storia di due sgangherati pseudo criminali che decidono di rubare la salma di Charlie Chaplin aveva fatto storcere il naso a pubblico e critica.
Stesso discorso vale, purtroppo, anche per il presente Albatros, dove il climax ci mette davvero molto ad arrivare e quando lo fa, tutto accade come in sordina, dopo che il film si è stancamente trascinato per oltre la metà della sua durata. Un climax che, dunque, proprio per il suddetto motivo, viene accolto in modo tiepido anche dallo spettatore. Che fare, dunque, affinché il lungometraggio possa essere in qualche modo “salvato in corner”? Purtroppo, resta ben poco da fare. E nonostante momenti di pseudo tensione che, analogamente a quanto accaduto nei minuti precedenti, anch’essi si trascinano stancamente, bastano piccoli ma pacchiani dettagli a far perdere all’intero lungometraggio i pochi punti che era riuscito a guadagnare.
Perché, di fatto, uno dei pochi elementi degni di nota del presente Albatros è proprio una profonda indagine psicologica del protagonista (impersonato da un bravo Jérémie Renier), che, tuttavia, non è sufficiente a far sì che l’intero lavoro funzioni. E Xavier Beauvois – che qui vediamo anche in un bizzarro cameo nei panni di un alcolizzato – proprio non è riuscito a gestire la situazione, ha promesso molto, ma, in fin dei conti, è riuscito solamente a far sì che l’intero suo lavoro girasse pericolosamente a vuoto, parlandosi addosso e risultando decisamente piatto e privo di ritmo. Peccato.

Marina Pavido

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