Il prezzo da pagare
Il parroco Miran sta preparando i suoi allievi alla cresima. Tra loro c’è Goran, residente del dormitorio, rapito dai modi pacati del sacerdote, che lo coccola comprandogli prelibatezze e portandolo in giro sulla sua potente moto. Alcuni ragazzi del dormitorio, convinti che Goran intrattenga una relazione omosessuale con il parroco, lo picchiano mandandolo in ospedale. Intanto, al gruppo si aggiunge Gabrijel, un ragazzo dall’incredibile bellezza, brillante e sicuro di sé, che diventa ben presto il nuovo pupillo di Miran, a scapito di Goran. Danica, la sorella di Miran che gestisce la sua casa e tiene d’occhio il suo rapporto con i due ragazzi, offre a Goran dei soldi per comprarsi qualcosa di buono. Interpretandolo come un modo per comprare il suo silenzio, il ragazzo, offeso, racconta allo psicologo del dormitorio di avere dei rapporti sessuali con il prete…
Quando si racconta una storia come quella al centro di Agape, ultima fatica dietro la macchina da presa di Branko Schmidt, presentata in concorso alla 19esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, la cosa che assolutamente non andrebbe fatta è quella di esitare nell’affondare il colpo, scegliendo una linea di condotta narrativa e drammaturgica più “morbida”. L’approccio deve essere rispettoso e nel film il rispetto nel trattare il tema non viene meno, ma allo stesso tempo non può e non deve essere affrontato con i guanti bianchi, quelli immacolati di colui che non ha voluto sporcarsi veramente le mani. Vorrei ma non posso o avrei potuto ma non ho voluto, non è dato sapere quale delle due strade l’autore abbia percorso nel processo creativo. Una cosa però è certa: Agape è un colpo non andato a segno, che si limita a parlare dell’atteggiamento omofobico della società nei confronti di qualsiasi comportamento non conforme alla norma, ma facendolo dalla porta di servizio. La critica e l’ammonimento sono ovviamente presenti, ma non sono portate avanti con la convinzione di chi vuole usarle come “arma di attacco”, bensì di difesa. La scelta di raccontare la storia del rapporto proibito tra il parroco Miran e alcuni ragazzi in procinto di ricevere la cresima poteva spalancare le porte ad argomentazioni ancora più devastanti e utili alla causa, quella della condanna senza appello della pedofilia nell’ambiente eclesiastico, offrendo alla platea un ulteriore punto di vista.
Purtroppo non è così, quindi la possibilità di aggiungere un nuovo e importante tassello alla “galleria degli orrori” (quella alla quale appartengono opere come Mea Maxima Culpa o Il caso Spotlight) non si concretizza. Di conseguenza, vista la portata dell’argomento in questione e il suo peso specifico non indifferente in termini di implicazioni sociali e di impatto emotivo sullo spettatore di turno, il fatto che Schmidt abbia deciso di camminare in punta di piedi su un tavolo di cristallo rappresenta una grande delusione. Una delusione ancora più cocente perché arriva da un veterano filmmaker croato che con i suoi film precedenti – su tutti Vegetarian Cannibal – non aveva nascosta la mano dopo avere scagliato la pietra. Eppure le potenzialità per dare un contributo c’erano tutte, a cominciare proprio dal background del cineasta, che comunque riesce lungo la timeline a creare stati d’animo di insofferenza e angoscia attraverso la figura ambigua di un sacerdote che si trova ad affrontare il disprezzo, le maldicenze e la scomunica. Personaggio che ha trovato a sua volta una certa incisività grazie alla performance di Goran Bogdan, premiata alla kermesse salentina con il riconoscimento per la migliore interpretazione.
Francesco Del Grosso