La Storia si ripete
Di young adult incentrati (quasi) esclusivamente su storie d’amore ambientate all’interno di college americani, ce n’è quanti ne vogliamo. Tale genere – che, di fatto, si contraddistingue da altri lungometraggi a tematiche simili proprio per il particolare approccio registico conferitogli – si è diffuso e ha riscontrato un elevato successo tra adolescenti e non, soprattutto verso la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila.
Tali prodotti si distinguono principalmente per i forti stereotipi al loro interno (comprensivi, in genere, di una protagonista bella ma introversa, compagne di stanza che sembrano fotomodelle e bellocci di turno – apparentemente playboy impenitenti – che finiscono irrimediabilmente per perdere la testa per le protagoniste). Dettaglio più, dettaglio meno, questo è generalmente l’andamento medio di lavori del genere, per un piattume produttivo pari soltanto (o quasi) a quello relativo al cinema dei telefoni bianchi.
Eppure, dal momento che il boom dei suddetti lungometraggi si è verificato all’incirca tra i dieci e i venti anni fa, non stupisce che, ancora oggi, parecchi lavori simili vengano proposti in palinsesto, con la speranza di attirare un cospicuo numero di spettatori. Uno di questi, ad esempio, è After, tratto dall’omonimo romanzo di Anna Todd e diretto da Jenny Gage.
La storia qui messa in scena è quella di Tess, una (ovviamente) bellissima ragazza proveniente da una piccola cittadina di provincia, fidanzata da moltissimi anni con una ragazzo che non sembra capirla, e che ha da poco iniziato l’università. Qui la giovane farà la conoscenza del bel Hardin, un ragazzo conteso dalla maggior parte delle fanciulle del college, ma che inizierà ben presto a farle una corte spietata, forte anche della comune passione per la letteratura.
L’epilogo, è tristemente e banalmente prevedibile.
Al di là, però, di ogni qualsivoglia ripetitivo script, ciò che accomuna il presente After alla sfilza di lungometraggi del genere precedentemente prodotti, è, soprattutto, una regia laccata, eccessivamente patinata e ai limiti del pacchiano, che vede i suoi punti di forza nei numerosi stereotipi presenti e che, soprattutto, si contraddistingue per un costante, onnipresente – e fortemente disturbante – uso di un commento musicale dai toni più commerciali del pop.
I protagonisti, dal canto loro, sono belli fino all’inverosimile. Persino dopo una nottataccia o dopo una serata passata sotto la pioggia battente. Eppure, nonostante tutto, sembrano, di fatto, non accettarsi mai. A tal proposito, appena accennato per poi lasciato cadere nel vuoto, è lo stesso rapporto della protagonista con il proprio corpo e con il proprio modo di vestire, nella scena in cui, dopo aver avuto una cocente delusione amorosa, si accinge a truccarsi per la prima volta, scrutando, di quando in quando, i suoi vecchi vestiti.
Se a tutto ciò aggiungiamo uno script ricco di elementi forzati e poco convincenti – come, ad esempio, la decisione, subitamente revocata, della madre di Tess di tagliarle i viveri – ecco che il presente After si rivela un lungometraggio del tutto sbagliato, che, tuttavia, probabilmente potrebbe ancora avere facile presa sui giovanissimi. E se pensiamo che il romanzo da cui esso è tratto prevede anche importanti sequel, probabilmente dovremmo aspettarci di rivedere nuovamente sul grande schermo i nostri protagonisti.
Marina Pavido