La penna ferisce più della spada
Prima di cominciare la recensione di questo film, è doveroso fare una premessa. Il personaggio della giornalista Federica Angeli, è ancora oggi sulla bocca dell’intero Paese e, nonostante le sue eroiche gesta, c’è chi stima il lavoro che ha fatto ma non ha rispetto per la persona per via delle scelte fatte nella vita. Ci riserviamo di dire che il nostro obiettivo, in questo pezzo, è analizzare solamente il film tralasciando tutto quello che ha a che fare con la vita reale. Pertanto, chi pensasse di leggere giudizi o commenti su questa recensione nei riguardi di Federica Angeli, resterà deluso.
A mano disarmata è uno dei film italiani più attesi del 2019, essendo un lungometraggio sul modello biopic, dedicato ad un personaggio che ha smosso, e non poco, le cronache sui giornali e in televisione. Quando Federica Angeli presentò il suo libro/romanzo – dal titolo per l’appunto “A mano disarmata”, cronaca appunto di 1700 giorni sotto scorta – non si sarebbe mai immaginata che la sua vita potesse diventare un film. E invece, grazie al regista Claudio Bonivento, che torna dietro la macchina da presa a distanza di quasi vent’anni da Le giraffe (2000), l’operazione è diventata realtà. La storia si basa su una sceneggiatura molto semplice ma particolarmente ricca di momenti di tensione, che quasi sfumano in un film horror, scritta dalla stessa Angeli a quattro mani con Domitilla Di Pietro. Nello scritto, le due sceneggiatrici hanno cercato di mettere tutti i momenti più bui della storia della famosa giornalista di Repubblica, che ha consentito la disfatta – almeno in parte – dei clan mafiosi che popolano il litorale romano. A mano disarmata non è un film che tende a mitizzare il personaggio di Federica Angeli, si occupa solo di raccontare alla gente – specie ai più scettici – le gesta della cronista che hanno portato anche alla devastazione della sua vita privandola della libertà. Dal momento in cui Federica finisce sotto scorta, il personaggio subisce un’enorme cambiamento ma rimane comunque forte nel carattere. Il merito di aver portato la Angeli sul grande schermo, tra l’altro ci permettiamo di dire in maniera divina, è di Claudia Gerini. L’attrice romana, forse alla miglior interpretazione della sua carriera, si è calata perfettamente nei panni della redattrice di Repubblica, regalandoci un’immagine perfettamente speculare. Del resto, le due donne hanno passato moltissimo tempo insieme, pertanto l’ex interprete di Viaggi di nozze ha potuto percepire sulla propria pelle il suo racconto unito a quello del marito (portato sullo schermo da Francesco Venditti – la voce di Deadpool tanto per intenderci) e dei loro tre bambini che nel film ricoprono un ruolo marginale ma ai quali è dedicato interamente il lavoro portato sullo schermo. Una sceneggiatura ricca di tensione, senza troppi colpi di scena, che segue una linearità ed una realtà abbastanza fedele e si chiude in un momento di immensa energia quando la Angeli/Gerini incrocia lo sguardo del personaggio che dovrebbe essere Roberto Spada. E a proposito del clan, per non creare ulteriori disagi alla giornalista, il clan degli Spada è stato cambiato in Costa per evitare disavventure in tribunale. Un film biografico su un personaggio che ha sconvolto le cronache nostrane facendo emergere una scomodissima verità che, ancora oggi, alimenta una lotta costante ai clan mafiosi che danneggiano il nostro territorio e il nostro bellissimo paese. Il film contiene anche un messaggio; un messaggio di coraggio per tutti coloro che sanno ma hanno paura. “Non abbiate paura, parlate!”. Un film semplice ma potente, un dramma ben congeniato che, ci riserviamo di dire, risveglierà molte coscienze e farà girare le scatole a qualcuno. Del resto, il compito dei giornalisti è proprio questo, rompere le scatole per cercare quell’informazione che potrebbe far crollare il castello di carte. Ma per fare ciò, bisogna anche salvaguardare il proprio castello, perché in una situazione così difficile e disagiante, come quella che vive tutt’ora Federica Angeli, anche le fondamenta più solide e i caratteri più forti rischiano di sgretolarsi e frammentarsi.
Stefano Berardo