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Ray (Elle Fanning) ha 16 anni e si sente un ragazzo. Vive insieme alla madre single, Maggie (Naomi Watts), la nonna Dolly (Susan Sarandon) e la sua compagna, Frances (Linda Emond). Preoccupata all’idea di un altro anno nella stessa scuola, Ray ha deciso di iniziare la terapia ormonale per trasferirsi in un’altra scuola e vivere un nuovo inizio come un ragazzo. Maggie comprende e supporta la sua decisione dimostrandosi pronta a fare tutto ciò di cui Ray ha bisogno. Sebbene Dolly sia una esasperata bohémienne liberale, la scelta di Ray è per lei difficile da accettare e da comprendere. Poiché minorenne, Ray non può iniziare il processo di transizione fisica senza il consenso di entrambi i genitori biologici. Per Maggie questo significa dover rintracciare, dopo anni, il suo ex-compagno Craig (Tate Donovan), mettendo a repentaglio il suo equilibrio. Temendo che il suo futuro e la sua felicità possano scivolare via, Ray decide che è il momento di agire e prendere in mano la propria vita.
Quello che va in scena in 3 Generations è a tutti gli effetti l’ennesimo scontro/incontro generazionale in una famiglia più o meno disfunzionale, che vede tre donne di diversa fascia d’età confrontarsi sul proprio rapporto e sulle singole esperienze di vita, alcune delle quali cruciali e determinanti in chiave futura. Una in particolare di queste esperienze finisce inevitabilmente per stravolgere i già delicati equilibri vigenti, diventando ben presto un giro di boa per la diretta interessata e per la restante parte del nucleo familiare. Ed è all’interno delle mura domestiche e sullo sfondo di New York che si consuma un capitolo importante di un romanzo di formazione di uno dei suoi componenti, un capitolo che racconta di un duro percorso di trasformazione e di come questo influisca sugli altri.
Il quarto film di Gaby Dellal, presentato a quasi un anno di distanza dalla premiere al Festival di Toronto nel concorso di Alice nella Città dell’11esima edizione della Festa del Cinema di Roma prima dell’uscita nelle sale nostrane con Videa il 24 novembre, focalizza l’attenzione e si sviluppa intorno alle suddette linee narrative, che finiscono inevitabilmente per mescolarsi senza soluzione di continuità nello script e sulla timeline. Il risultato è una commedia dai toni drammatici (dramedy), dove i due registri il più delle volte si alternano e in altri casi arrivano persino a confondersi, tanto da non consentire allo spettatore di turno di individuare con esattezza la linea di confine. In tal senso, 3 Generations è un film che sa strappare sorrisi e allo stesso tempo inumidire gli occhi. Per farlo si veste di sobrietà e di rispetto, ossia gli elementi necessari e corretti per affrontare nella maniera giusta temi assai delicati e complessi come quelli del confronto generazionale e della ricerca dell’identità sessuale. Questo approccio alla materia della regista londinese, marchio di fabbrica del suo cinema (vedi On a Clear Day), è tra gli aspetti più evidenti dell’opera, ma anche il freno che non permette alla storia di spiccare il volo. La Dellal e la compagna di scrittura Nikole Beckwith, infatti, dimostrano chiaramente in tutto l’arco del racconto di non volere mai oltrepassare un certo limite, preferendo i guanti bianchi e il passo leggero in punta di piedi al rischio di provare a schiacciare ancora di più l’acceleratore sul no politically correct. Probabilmente, se ciò fosse avvenuto ora parleremmo con toni più entusiasti, quelli con i quali, invece, sottolineiamo la cura nel disegno dei personaggi e il grande amore che le tre attrici protagoniste hanno messo a disposizione nell’interpretarli (altra prova maiuscola di Susan Sarandon nel ruolo della nonna omossessuale Dolly).
Francesco Del Grosso