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The Curtain Rises

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VOTO: 7.5

Destinazione via lattea

Il popolo fareastiano lo ha conosciuto e amato grazie ai due capitoli di Bayside Shakedown. Per coloro che non lo avessero capito è di Motohiro Katsuyuki che si sta parlando, che torna in quel di Udine per presentare alla 17esima edizione della kermesse friulana la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo The Curtain Rises. E pensare che avremmo potuto non imbatterci in questa pellicola vista la volontà del cineasta giapponese di abbandonare la regia dopo Shaolin Girl, ma per fortuna ha deciso di ritornare sui suoi passi. Aggiungiamo meno male visto il risultato ottenuto con questa trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo del drammaturgo Hirata Oriza, alla quale si può imputare solo una flessione nella parte finale e l’eccessiva durata. Una trentina di minuti in meno sui centoventi complessivi, infatti, avrebbero sicuramente facilitato e reso ancora più piacevole la fruizione, rendendola più fluida e ritmicamente più efficace. Si tratta di una macchia che pesa sull’economia del racconto, ma che non intacca la bellezza di un film che lascia una piacevole sensazione addosso, anche dopo che i titoli di coda hanno terminato di sfilare sul grande schermo.
Motohiro torna tra i banchi di scuola come in Bayside Shakedown, ma con ben altro tono e registro, per raccontare la storia di Saori, alunna del Fujigoaca, chiamata a guidare il club teatrale del suo liceo in una competizione regionale che potrebbe spalancare le porte delle finali nazionali. Il team da lei capitanato non solo dovrà recitare meglio delle compagini avversarie, ma ragionare come un gruppo. A una prima lettura, la sinossi di The Curtain Rises non ci dice nulla di nuovo sul versante drammaturgico, con un plot che scarseggia in quanto a originalità. E sta proprio qui il piccolo miracolo compiuto dal regista nipponico, ossia il riuscire a trovare una chiave personale nonostante il materiale a disposizione sia piuttosto abusato. Si tratta in effetti di una classica storia di formazione che parla di scelte da prendere e di cambiamenti da accettare, ma Motohiro trova comunque il modo di dare un senso all’operazione, portando sul grande schermo un delicato film sull’amicizia e sul teatro che diverte e commuove senza mai strafare. Il rischio di banalizzare o scivolare nel guado dello stereotipo, infatti, era sempre presente dietro l’angolo, ma l’attento e intelligente lavoro in fase scrittura ha allontanato la minaccia, lasciando spazio a un portatore sano di valori e propositi, non di morale a buon mercato.
Da parte sua, Motohiro cuce i fili di una vicenda corale raccontata però con il punto di vista di un singolo che si fa portavoce di un gruppo, attraverso un flusso di parole, pensieri, sguardi e gesti. Per farlo, il regista mette da parte lo stile prorompente e pop del passato (fatta eccezione per la scena dell’incubo) per lasciare spazio al gruppo di interpreti e alla loro performance, dove spicca quella della bravissima Kuroki Haru (premiata di recente con l’Orso d’Argento alla Berlinale per la migliore attrice  con il ruolo della cameriera ingenua ma sensibile del dramma familiare The Little House di Yamada Yoji) nei panni della coach Yoshioka.

Francesco Del Grosso

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