La paura in diretta
Se nel tuo curriculum figurano le partecipazioni a festival come il Sitges o il Trieste Science+Fiction Festival, allora qualche carta veramente importante da spendere ce la devi pur avere nascosta nel mazzo a disposizione. Il curriculum in questione appartiene a L’ora del buio di Domenico de Feudis, che dopo un fortunato tour nel circuito festivaliero è approdato nel concorso della 18esima edizione di Cortinametraggio. Ed è proprio lì, fra le nevi delle Dolomiti, che abbiamo avuto la possibilità di vederlo e di apprezzarne le indubbie doti, a cominciare dall’interpretazione davvero sorprendente della giovanissima protagonista Maria Disegna, che non a caso si è aggiudicata la menzione speciale della giuria nel corso della serata di chiusura della kermesse veneta.
L’attrice si cala nei panni non semplici di Sofia, una ragazzina tenuta inspiegabilmente prigioniera da un misterioso rapitore. Per lei c’è solo un modo per salvarsi ed è quello di chiamare aiuto. L’occasione si presenta una notte, quando sfruttando un momento di distrazione dell’aguzzino la ragazzina si impossessa di un cellulare e chiama la polizia. Ovviamente non vi sveleremo se la richiesta di aiuto andrà a buon fine oppure no, rimandando l’esito alla visione del cortometraggio. Ma una cosa vogliamo e possiamo dirvela: quella telefonata darà il via a un’escalation di tensione destinata a crescere in maniera esponenziale sino alla definitiva deflagrazione sullo schermo. La sapiente costruzione della tensione e l’accumulo sulla timeline che se ne fa sono le armi in possesso di de Feudis per dare forma e sostanza al plot de L’ora del buio. Un plot che, come avrete modo di constatare, è volutamente scarnificato e privo di stratificazioni drammaturgiche, a favore di una narrazione veloce, semplice e lineare, che si alimenta di emozioni disturbanti: ansia, claustrofobia, soffocamento e paura, diventano gli ingredienti principali della ricetta.
L’autore punta tutto sulla catena di azioni e reazioni, dando vita a un thriller dalle venature orrorifiche di grande impatto che mescola nel proprio DNA tanto Saw quanto Phone Booth, Room e Buried. Per farlo comprime il tutto in poco meno di 12’, ambientati tra le quattro mura di uno scantinato adibito a luogo detentivo in una zona topograficamente non meglio identificato. Ed è lì che de Feudis riesce a fare quello che tanti altri colleghi, sulla breve e sulla lunga distanza, non sono stati in grado di realizzare. Lavorando accuratamente con la macchina da presa e la fotografia nei pochi m2 a disposizione, il cineasta pugliese mette la firma su un vero e proprio Vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, non lascerà scampo alla protagonista e agli spettatori di turno, quest’ultimi testimoni passivi costretti a rimanere incollati alla poltrona in attesa che si compia il destino della protagonista.
Francesco Del Grosso