Una seconda gioventù
E’ una notte di luna piena. Un’infermiera cinica e brutale si aggira nei corridoi di una vecchia casa di riposo. Distribuisce i medicinali della buonanotte mentre arrotonda lo stipendio preparando bustine di pasticche da spacciare e rubando ai pazienti più indifesi. Odia quel lavoro, i vecchi, la vecchiaia. Quando entra nella stanza n.12, occupata da tre anziane sorelle, scopre che una delle tre ha compiuto cent’anni. Da qualche parte ci deve essere un regalo di compleanno. Solo su una cosa il suo cinismo le darà ragione: non esistono i buoni, solo i meno cattivi.
Già da una prima lettura della sinossi e dalla successiva visione vengono a galla quali siano stati o possano essere stati i riferimenti alla base della scrittura e della messa in quadro di Birthday. Per il suo cortometraggio, presentato in numerose e prestigiose kermesse del circuito festivaliero internazionale (tra cui il Fantasia International Film Festival di Montreal e il New York Film Festival) prima di approdare in altrettante prestigiose vetrine nostrane come il Trieste Science + Fiction 2017, Cortinametraggio 2018 e il Festival del Cinema Europeo di Lecce 2018, Alberto Viavattene ha attinto a piene mani da un immaginario cinematografico di genere e da una serie di stilemi che riportano la mente del cultore della materia o del semplice appassionato al sapore inconfondibile delle produzioni horror degli anni Settanta e ancora di più a quelle del decennio successivo. Tanto le atmosfere, quanto la storia e i personaggi che la animano, prendono chiaramente linfa vitale e ispirazione non dal filone più splatter e truculento, ma da quel modo tutto anni Ottanta di provocare brividi lungo la schiena attraverso una escalation di tensione destinata a deflagrare sullo schermo dopo un’efficace e graduale salita che porta diritti all’epilogo. Viavattene punta deciso sulla costruzione della tensione, trasformandola in una lama affilata capace di affondare il colpo quando meno te lo aspetti. Ed è su di essa che si appoggiano lo script e la sua trasposizione per prendere forma e sostanza.
Ne viene fuori un horror psicologico e metafisico in cui il cineasta chiama in causa, mescolandoli senza soluzione di continuità e con le dedite distanze del caso, titoli più recenti come il Lars von Trier di The Kingdom, il Carpenter di The Ward e il Lorenzo Bianchini di Occhi, dove a fare la differenza sono i silenzi, le atmosfere e le apparizioni inquietanti. Ma la vera differenza in un corto come Birthday la fa il lavoro dietro la macchina da presa di un regista capace di mettere al servizio della scrittura una serie di soluzioni visive di discreta efficacia e di pregevole fattura, che trovano nella fotografia, nei VFX e soprattutto nel sound design, delle spalle forti sulle quali contare.
Francesco Del Grosso