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Of Fathers and Sons

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VOTO: 9

Il seme dell’odio

Qualcuno un giorno disse che per capire la natura e l’evoluzione di un problema bisogna scavare sino alla radice ed è quanto ha voluto ed è riuscito a fare Talal Derki con il suo ultimo documentario dal titolo Of Fathers and Sons, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2018 e in concorso all’IDFA 2017 e al 28° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina. Ed è proprio nella kermesse meneghina che abbiamo avuto al possibilità di vedere quanto in profondità il regista siriano, ora di base in quel di Berlino, sia riuscito ad andare per restituire sullo schermo qualcosa di assolutamente sconvolgente, disturbante e capace di segnare il fruitore di turno. E non sorprende minimamente che tale segno indelebile sia stato lasciato nuovamente da un cineasta come lui, capace quattro anni or sono di ammutolire il mondo con il precedente documentario, Return to Homs, in cui raccontava l’assedio della città omonima attraverso gli occhi dei volontari locali che combattevano contro il regime di Bashar al-Assad.
Qui Derki non è da meno, al contrario alza di gran lunga il livello di difficoltà e di rischio, tornando in patria fingendosi un fotoreporter filo-jihadista che realizza un documentario sull’ascesa del califfato nel contesto della guerra civile siriana. E per farlo si cala con straordinario coraggio nel tessuto sociale e (dis)umano di quella realtà, diventandone parte integrante per due anni e mezzo. Vive, mangia, osserva, ascolta e nel mentre cattura, stando fianco a fianco con il nemico, penetrando con la videocamera fuori e dentro le mura di una famiglia nel nord della Siria. Ma non si tratta di una famiglia qualsiasi, bensì di quella del generale Abu Osama – un leader islamista radicale del gruppo armato al-Nusra – e dei suoi figli. Per l’autore, una volta conquistata la fiducia di uno dei fondatori del braccio siriano di Al-Qaeda, si sono letteralmente spalancate le porte dell’Inferno in terra. Ciò gli ha permesso di restituire tutto di quell’esperienza, offrendo alla platea di turno uno sguardo inedito e inquietante sulla relazione padre-figlio e sull’educazione salafita alla guerra santa. Il risultato è un ritratto crudo, e al tempo stesso intimo, della quotidianità di un gruppo di persone che vivono in funzione dell’odio e del terrore in nome di un Dio. Odio e terrore che trasmettono prima con il seme e poi con gli insegnamenti ai propri figli.
Apparentemente Of Fathers and Sons potrebbe sembrare il classico reportage immersivo tra le linee nemiche e tecnicamente lo è. A fare la vera differenza, dunque, non è l’approccio, seppur estremamente complesso e pericoloso da attuare, piuttosto i contenuti che Derki riesce a portare sullo schermo. Le immagini sono difficili da digerire, ma ancora di più a rimanere indigesto è il detto, ciò che il padre – e chi per lui – trasmette di volta in volta ai propri figli, attraverso un’educazione alla violenza, all’odio e alla resistenza armata. La stretta vicinanza al diavolo fatto persona consente al regista siriano di consegnare allo spettatore qualcosa di diverso e brutalmente diretto, senza filtri censori ad addolcire la pillola, che fa male come un pugno potentissimo sferrato alla bocca dello stomaco, che ti lascia senza respiro. Ed è questa la sensazione che ti provoca l’opera della quale ci siamo occupati. Perché quando pensi di avere visto e sentito proprio tutto di un dato argomento, dopo avere assistito impotente al film di Derki ti renderai conto che in realtà non avevi ancora visto e sentito tutto, nonostante viviamo in un’epoca dove sul piccolo schermo non è raro trovarsi al cospetto di qualche decapitazione.

Francesco Del Grosso

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