Azione aliena / AlienAzione
Kiyoshi Kurosawa, a nostro avviso tra i più grandi cineasti giapponesi contemporanei, prosegue nella sua ricerca che è tanto di natura stilistica quanto di continua traslitterazione, desaturazione dei generi, da lui alleggeriti di molti orpelli narrativi e di tanta CGI in eccesso così da essere ridotti ad agile impalcatura, per teoremi esistenziali particolarmente cupi, angoscianti, morbosi. La tensione regna ugualmente, ma a un livello più sottile.
Ciò che nel suo caso tende di volta in volta a mutare è semmai la modalità di fruizione delle opere. Il lungometraggio proposto a Udine, che rientra senz’altro tra le visioni più sapide del 20° Far East Film Festival, è in realtà una versione per il grande schermo tratta dai cinque episodi della mini-serie di fantascienza, già trasmessa dall’emittente televisiva Wowow. E questa operazione fa il paio con quella precedentemente tentata dal cineasta nipponico, con il fortunato Before We Vanish. Rispetto all’altro lavoro, Yocho (ovvero Foreboding, traducibile in italiano come “presentimento”) si distingue più che altro per i toni più intimamente disperati, paranoici, rapportati peraltro ad alcuni schemi narrativi e di pensiero che l’autore ha sperimentato con successo in passato.
Ad ogni modo, vista la derivazione in qualche modo televisiva, ci preme dire subito che la tempistica della versione cinematografica ci è parsa tutto sommato adeguata, sia in quanto a durata complessiva che per l’inesorabile escalation drammatica che vi si afferma. Riguardo a Yocho, anzi, l’impatto quasi sensoriale delle terrificanti situazioni narrate ci ha ricordato persino una delle pellicole più ispirate del Maestro giapponese, Kairo (Pulse, 2001), con lo strisciante e silenzioso irrompere del Male in una società malata tanto di tecnologia quanto, paradossalmente, di difficoltà a comunicare e di solitudini diffuse. Fino a far sfociare tali tensioni in uno scenario sempre più crudo, apocalittico.
Anche in Yocho questa”banalità del Male” si afferma nel quotidiano dei protagonisti con inesorabile lentezza, perlopiù senza che sullo schermo compaiano effetti visivi spaventosi, eclatanti, soluzioni queste alle quali Kiyoshi Kurosawa preferisce una strategia della tensione diversamente concepita, in quanto rivolta alla progressiva perdita di certezze da parte dello spettatore. Destino almeno in parte analogo a quello dei personaggi, volendo: sì, perché in Yocho la minaccia è rappresentata da quei misteriosi alieni che dopo essersi impadroniti dei corpi di alcuni terrestri, un po’ come nel celebre prototipo L’invasione degli ultracorpi, hanno pianificato di utilizzarli per rubare determinate “concezioni” ad altri esseri umani facendole sparire per sempre dalle loro menti. In tal modo l’umanità comincia a disgregarsi, si ALIENA, mentre la testa di ponte extraterrestre si rafforza acquisendo ulteriori conoscenze. Insomma, in questa curiosa declinazione di una “science fiction” eterea e filosofeggiante, l’ormai prossima invasione aliena viene preparata proprio così, non devastando le città con obsoleti dischi volanti e raggi della morte, bensì destrutturando la specie umana a partire dall’identità dei singoli e dalle loro capacità relazionali, tanto da mettere in crisi prima di tutto l’idea di coppia e di famiglia, per far poi collassare l’intera società. Un’intuizione non da poco cui ne seguiranno anche altre, in questo piccolo gioiello firmato Kiyoshi Kurosawa.
Stefano Coccia