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Without Air

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VOTO: 8,5

Scacco all’istruzione

Teso come una corda di violino, illuminante quanto qualsiasi opera sottolinei i rischi insiti nel porre stretti vincoli ideologici all’istruzione e al percorso formativo delle nuove generazioni, Without Air (Elfogy a levegő, 2023) dell’ungherese Katalin Moldovai si è rivelato tra i film di maggiore impatto del 35° Trieste Film Festival. Ma non siamo stati certo solo noi, ad accorgercene…
Tale lungometraggio è stato infatti proiettato a Trieste il 25 gennaio, dopo la consegna del Premio CEI (Central European Initiative) al film che meglio interpreta la realtà contemporanea e il dialogo tra le culture. Questa la motivazione, per molti versi emblematica: “Without Air dimostra che nessun ambiente sociale è immune dall’odio e dall’oscurantismo, nemmeno un moderno liceo ungherese. Il Premio Cei 2024 va a Katalin Moldovai per il suo film riflessivo e coraggioso e per il ritratto di un’insegnante coraggiosa, che cattura il clima politico e sociale del suo Paese.”.

Però, piccolo colpo di scena, questa recensione rischia di trasformarsi già in una sorta di “rassegna stampa”, in una vera e propria “compilation” di riconoscimenti più o meno importanti, poiché alla fine del festival il palmares della folgorante pellicola magiara è cresciuto a dismisura. Facciamo perciò sfilare brevemente i trofei conquistati.
Innanzitutto Miglior Lungometraggio in concorso, per quanto riguarda i premi assegnati direttamente dal pubblico. La giuria composta da Anca Puiu, Ivan Salatić e Lenka Tyrpáková ha voluto invece tributare una (meritatissima) Menzione Speciale alla protagonista di Without Air, Ágnes Krasznahorkai, motivando così tale decisione: Vorremmo assegnare una menzione speciale ad Ágnes Krasznahorkai (l’attrice protagonista di Without Air) per l’intelligenza con cui sfrutta il suo talento e per la sensibilità con cui trasmette il dramma di una donna intrappolata nelle maglie della burocrazia e dei preconcetti di coloro che incarnano il sistema.
E per chiudere in bellezza, alla tagliente opera cinematografica di Katalin Moldovai è stato assegnato anche il Premio Cineuropa, con un’articolata motivazione che costituisce quasi un piccolo saggio critico:
Il Premio Cineuropa al Trieste Film Festival premia quest’anno l’opera prima di una regista che con il suo film ha sviscerato in maniera non banale la fondamentale questione della libertà d’espressione e di pensiero, e dei meccanismi di censura.
Without Air toglie gradualmente il fiato: il crescendo della trama che vede la protagonista messa ai margini, screditata, isolata dai colleghi e abbandonata – loro malgrado – dai suoi studenti, è paradigmatico della progressiva diminuzione della libertà di parola in molti dei nostri Paesi, della fragilità delle nostre democrazie, di censure sempre più diffuse.
Il caldo innaturale che accompagna il film, non è solo un monito all’emergenza ambientale, ma la rappresentazione di un opprimente clima politico complessivo che tende a soffocare chi non si conforma alle regole del potere, anche a quelle più assurde. Con il Premio Cineuropa non si vuole dunque solo premiare un debutto cinematografico magistralmente realizzato, ed interpretato, si premia il coraggio narrativo di Katalin Moldovai nel metterci in guardia dai fascismi diffusi, dalle scuole alle piazze, dai parlamenti alle nostre case.

Sembrerebbe quasi, a questo punto, che abbiano già detto tutto gli altri. Ma non è così. Dissociandoci solo in parte dall’ultima motivazione per quel riferimento al caldo, all’emergenza ambientale, cui ci sembra si dia qui un’importanza esagerata rispetto ad altre forme di “calore” ben più presenti in scena, su tutte il progressivo surriscaldarsi di un conflitto inter-personale che è soprattutto scontro di idee, nonché sagace tassello della sempre più pervasiva, soffocante presenza di istanze allogene (che possono essere di volta in volta l’asfissiante controllo esercitato dai genitori degli alunni, le pressioni di natura politica attuate attraverso i programmi sul corpo docente, l’impatto di una società ultra-liberista su presidi e altri professionisti della scuola costantemente a caccia di finanziamenti pubblici o privati che mandino avanti la baracca) all’interno di una vita scolastica irreggimentata in modo pazzesco e quindi sostanzialmente impoverita, inaridita, ci ostiniamo a pensare sia la censura delle opere e delle forme di pensiero discordanti il nodo cruciale. Nonostante non venga citato esplicitamente, è Poeti dall’Inferno, ovvero il film del 1995 in cui Agnieszka Holland raccontava magistralmente la relazione proibita tra Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, il “casus belli”; e cioè l’elemento che fa deflagrare all’improvviso gli equilibri del liceo ungherese, a partire dalla reazione spropositata, ottusa, di un genitore particolarmente frustrato e bigotto, incapace di accettare che una delle professoresse più valide della scuola abbia consigliato per il suo valore culturale la visione di tale lungometraggio agli alunni, tra i quali vi è anche suo figlio; un ragazzo di talento, che la prepotenza e i toni inquisitori del padre condurranno invece verso il baratro.

Da questo momento in poi, del resto, le differenti reazioni di preside, insegnanti, studenti, genitori e altri personaggi coinvolti, vengono scandagliate dalla Moldovai con lo sguardo paziente e accurato di un entomologo; laddove però l’intento politico del film non appare affatto strumentale o didascalico e la temperatura emotiva della narrazione non si raffredda mai, producendo al contrario un crescendo drammaturgico destinato a coinvolgere sempre più visceralmente gli spettatori, soprattutto quelli maggiormente sensibili a temi come la libertà di pensiero.

Stefano Coccia

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