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The Red Colored Grey Truck

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VOTO: 8

Non per i critici, ma per il pubblico: meglio così

Srdan Koljevic è stato tra le altre cose un grande amico del Trieste Film Festival. E la manifestazione cinematografica triestina, a dimostrarlo vi è anche l’importanza data da subito al premio intitolato a Corso Salani, non si dimentica mai di amici e compagni di strada perduti. La memoria (storica e personale) è del resto uno dei temi in cui ci siamo imbattuti più spesso, nel corso delle varie edizioni. Non sorprenda perciò che il 35° Trieste Film Festival abbia voluto rendere omaggio allo sceneggiatore e regista serbo (nativo di Sarajevo), scomparso purtroppo l’8 luglio scorso ad appena 56 anni.
A ricordarlo, assieme alla direttrice del festival Nicoletta Romeo, una visibilmente commossa Melina Pota Koljevic, sua prima moglie nonché cineasta di valore lei stessa, che con Srdan aveva anche collaborato per diverse produzioni cinematografiche. Nell’introdurre la pellicola scelta per tale omaggio, The Red Colored Grey Truck, Melina ha fatto presente simpaticamente agli spettatori del Cinema Ambasciatori, gremito per l’occasione, che il buon Srdan Koljevic affermava spesso di fare cinema non per compiacere i critici cinematografici, ma per il pubblico. Ciò che gli interessava realmente era dar vita a uno spettacolo popolare. Forse per questo, aggiungiamo noi, la sua poetica è sempre risultata così viva. E non possiamo fare a meno, pur da giornalisti, di sposare questa sua inclinazione, da sottoscrivere con ancor più convinzione e vigore se si pensa allo stato comatoso in cui versa – specie da noi – tanta critica cinematografica, spaccata quasi a metà tra lo snobismo d’impronta “radical chic” di certi colleghi e quel timbro gossipparo, frivolo sfoggiato baldanzosamente da altri…

Pensiamo però ora alle cose belle, Srdan se lo merita. Proiettato a Trieste la mattina del 26 gennaio, The Red Colored Grey Truck (Sivi kamion crvene boje, 2004) è in tutto e per tutto una tragicommedia rappresentava dell’epoca in cui venne realizzata. Quando cioè, nei primi anni 2000, diversi cineasti balcanici (serbi e non solo) hanno avvertito la necessità di ripensare quei crudi conflitti che nel decennio precedente avevano disgregato e insanguinato i territori della ex Yugoslavia, adottando sovente non un tono realistico ma un accento surreale, grottesco, favolistico all’occorrenza ma nel senso di una fiaba macabra; quella che tanti cittadini serbi, croati, bosniaci, sloveni hanno vissuto sulla propria pelle. E una delle forme più (arche)tipiche che tale cinema ha assunto è senz’altro quello della farsa bellica.
Può ricordare facilmente certe analoghe pellicole del grande Kusturica, The Red Colored Grey Truck, ma da una prospettiva sempre molto originale, personale. Ne sono protagonisti qui due perfetti outsider, una punkettona figlia di militare severo e un camionista uscito di galera da poco, per giunta daltonico, che si ritrovano a partire insieme da Belgrado attraversando un paese già precipitato nel caos, nel giugno 1991. Alla vigilia cioè di quel sanguinoso conflitto che cambierà, in pochi anni, la geografia dei Balcani. Ratko e Suzana, in fuga dalla guerra ancor prima di essere pienamente coscienti che sia iniziata. Tra esperienze paradossali, incontri balordi e un’affiorante visionarietà, immersa come sempre in quel dark humour che è nel DNA di tanti registi serbi.

Ratko e Suzana: ovvero due lati della stessa medaglia. Laddove quello del pittoresco camionista è un daltonismo visivo, non un daltonismo del cuore. Saprà infatti riconoscere, poco alla volta, in quella ragazza ribelle e incinta di non si sa bene chi, un suo possibile completamento. Alla luce di situazioni anche drammatiche, crude, che al momento però della loro fuga verso un’Italia idealizzata – e quasi da cartolina turistica – porteranno a quel quadretto finale, allegorico e intriso della stessa surrealtà di fondo che attraversa tutta quanta la narrazione. Un quadretto del quale anche il pubblico può beneficiare, nei termini di una immaginifica, sospirata catarsi.

Stefano Coccia

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