Basta crederci
In un concorso di grandissima qualità come quello della 38esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen a salire sul gradino più alto del podio alla fine è stata Wind, Talk To Me (Vetre, pričaj sa mnom), la pregevole e preziosa opera prima di Stefan Djordjevic, che già si era messa in mostra nella competizione del 54° Festival di Rotterdam. La pellicola del regista serbo ha messo d’accordo tutti i membri della giuria internazionale della kermesse altoatesina, che l’ha premiata all’unanimità con una motivazione che rispecchia e riassume in maniera perfetta quelli che sono gli indubbi valori messi in campo: «diario intimo, album di famiglia, racconto collettivo, poema lirico sulla Natura in cui ogni presenza – umana, animale, vegetale – si scioglie e si ricongiunge. Così, muovendosi liberamente tra le epoche e i generi, Djordjevich ha trasformato il dolore per una madre che se ne va in un film limpido e memorabile, minuscolo e insieme immenso come il fazzoletto di terra e di acqua in cui è stato girato. Che diventa miracolosamente il mondo intero».
E pensare che l’autore aveva originariamente progettato di realizzare un film sulla madre malata, ma dopo la sua morte ha cambiato idea, dedicando questo primo lungometraggio profondamente toccante alla sua intera famiglia, che lo vede tornare a casa tra il caldo abbraccio dei suoi cari per festeggiare gli ottant’anni della nonna e trovare lì conforto e tranquillità. Inizialmente concepito come un documentario autobiografico sulla madre, Wind, Talk to Me si è dunque trasformato in qualcosa di profondamente diverso dopo la sua scomparsa. Anche se sotto certi aspetti ricorda La scomparsa di mia madre o Un’ora sola ti vorrei, rendendo omaggio alla presenza della madre in famiglia, il film si spinge oltre il ricordo, esplorando i legami che ci legano gli uni agli altri e al mondo naturale. Djordjevic crea una meditazione intima e profondamente personale sul dolore, catturando resilienza e vulnerabilità con un’autenticità che rifugge dal sentimentalismo o dall’artificio, con la natura che fa da cornice ma anche da personaggio aggiunto chiamato come gli esseri umani a partecipare al racconto.
Il cambiamento di pelle narrativo, drammaturgico e genetico al quale assistiamo nel corso del racconto però mantiene intatto il modus operandi e la capacità del film di veicolare tematiche universali ed emozioni intense, continue e cangianti. Quest’ultime non vengono mai meno, alimentando sesta sosta la timeline con momenti di altissima intensità e verità (vedi i dialoghi privati tra madre e figlio nella roulotte), anche quando i meccanismi meta-cinematografici rendono visibile la linea di demarcazione tra reale e finzione, poesia e realtà, vita e messinscena, documentario e fiction, osservazione e costruzione, persone e personaggi. Wind, Talk to Me ha in questo mescolare i piani, le dimensioni, i generi e le sfere, il punto di forza e il valore aggiunto di un’opera capace di accarezzare come poche altre le corde del cuore dello spettatore che, dopo averne accettato le regole d’ingaggio, saprà anche abbandonarsi ad essa.
Francesco Del Grosso