La mia crociata
Dal San Sebastián International Film Festival 2016 al Bergamo Film Meeting 2017, dove figura tra i sette titoli selezionati per la Mostra concorso della 35esima edizione. Lungo questa direttrice festivaliera passa il destino nel circuito internazionale di Waldstille, opera terza scritta e diretta dal regista olandese Martijn Maria Smits, la cui uscita nelle sale nei Paesi Bassi è prevista per la fine del mese di Marzo.
Siamo a Carnevale, dopo una notte di festa e di eccessi, Ben è coinvolto in un incidente stradale in cui perde la vita Tinka, la sua compagna. Dopo alcuni anni in prigione, Ben torna a casa, a Waldstille, deciso a ristabilire un contatto con la sua bambina, che nel frattempo è stata data in affidamento ai nonni materni. Louis e Olga non hanno ancora superato il lutto per la perdita della figlia e sono determinati ad impedire a Ben di vedere Cindy. Ben, però, è altrettanto deciso nel trovare un modo per vedere la bambina, e chiede aiuto a Debbie, la sorella di Tinka, che in segreto organizza un incontro tra il padre e la bambina. Rompere con il passato e superare la colpa è per Ben una vera e propria crociata di redenzione, ma il rischio di sbagliare ancora è altissimo.
Sin dalla lettura della sinossi e ancora prima della visione, quello firmato da Smits si presenta come un dramma piuttosto ricco di tematiche e di suggestioni, alcune delle quali particolarmente delicate e complesse da maneggiare da un punto di vista drammaturgico. Il regista e sceneggiatore olandese riesce a gestire e a fare coesistere l’enorme mole di materiale a disposizione e che rischiosamente scelto di trattare contemporaneamente, racchiudendo il tutto in una timeline di una novantina di minuti circa. Nel farlo è stato aiutato sicuramente dal carattere biografico di alcuni elementi e passaggi che vanno ad alimentare il racconto e il disegno dei personaggi principali e secondari che lo alimentano. Questo ha contribuito probabilmente a dare forma e sostanza a un’opera che trasuda emozioni da tutti i fotogrammi che la compongono, offrendo alla platea di turno un qualcosa di vero, sincero, profondo e sentito, con il quale confrontarsi e sul quale provare a riflettere.
Waldstille, però, non è solo un film che parla del rapporto ostacolato tra un padre e una figlia, che potrebbe in qualche modo riportare alla mente l’odissea umana e giudiziaria al centro de La prima luce di Vincenzo Marra, ma anche una storia che estende i propri orizzonti drammaturgici e il plot ad altri temi come la complessità dei legami familiari, il senso di colpa e il perdono. E qui non può non tornare alla mente quel colpo al cuore che risponde al titolo di Manchester by the Sea. La sostanziale differenza con la pellicola di Kenneth Lonergan sta nella scrittura stessa e nel contributo che questa riesce a dare alla trasposizione. Nel film di Lonergan la qualità della drammaturgia va di pari passo con le emozioni che riesce a scatenare nello spettatore. In quello del collega olandese, invece, le emozioni sembrano venire prima di tutto, persino della scorrevolezza e della consistenza della drammaturgia. Non è un problema di controllo, come abbiamo detto in precedenza, ma una scelta ben precisa dell’autore. Waldstille, infatti, fa parte di quel tipo di progetti che punta all’empatia e alla catarsi del fruitore attraverso le singole scene che si succedono sullo schermo, piuttosto che sul racconto nella sua interezza. Quello che fa Smits è un lavoro di sottrazione narrativa, che toglie elementi per permettere allo spettatore di andare ad aggiungere qualcosa di personale.
Il risultato è un “puzzle” del quale il regista mette a disposizione solo una parte. Ciò costringe lo spettatore a rivestire un ruolo più attivo, a mettere qualcosa di sé in quello che vede e sente; e questo si sa può essere anche un’arma a doppio taglio, soprattutto quando ci si trova al cospetto di spettatori che non sono disposti a scendere a patti con l’opera. Per noi non è stato un problema, al contrario ha rappresentato un valore aggiunto alla pari delle straordinarie, intense e sofferte performance davanti la macchina da presa di tutti i membri del cast, a cominciare da quella di Thomas Ryckewaert nei panni di Ben. Le interpretazioni sono, infatti, il vero punto di forza di Waldstille, che alzano di molto la temperatura emotiva delle scene (dall’irruzione di Ben a scuola di Cindy, il confronto del protagonista con il padre di Tinka in ufficio o quello con la sorella della moglie deceduta nel parcheggio). Il fatto di avere a disposizione dei bravissimi attori ha probabilmente spinto il regista a lavorare in sottrazione anche sul versante tecnico, optando per uno stile asciutto e completamente al servizio dei personaggi e degli attori. Non è un caso, infatti, che la macchina da presa rimanga spesso attaccata ai corpi, restituendo primi piani e tagli stretti di grandissima intensità. Tale scelta non può che esaltare ancora di più le interpretazioni dei singoli, ma anche quei pochi passaggi corali che si affacciano sullo schermo.
Francesco Del Grosso