Un film cantato
C’era davvero bisogno di un lungometraggio in live action de La Bella e la Bestia che ricalcasse quasi in tutto e per tutto una versione animata, quella del 1991, di gran lunga migliore? Domanda che andrebbe girata ai boss della Disney, evidentemente convinti che una nuova rilettura possa contribuire a rinvigorire, tra le nuovissime generazioni, il mito della famosa fiaba europea dalle incerte origini ma soprattutto portare dollari sonanti nelle casse della casa madre. Un intento certamente rispettabile che però non tiene conto, almeno visto il risultato finale, di almeno un paio di variabili. La prima riguarda l’evoluzione del gusto popolare. Siamo nel 2017 e pure i bambini in tenera età, già perfettamente avvezzi al mondo ipercinetico che stiamo vivendo, non è detto si esaltino nell’ascoltare canzoni (doppiate pure quelle!) ogni tre minuti, condite da strampalati oggetti parlanti ed uccellini cinguettanti. Secondo punto. Il mancato aggiornamento nei dettagli di una vicenda la cui morale è talmente cristallina – il vero amore che deve travalicare gli angusti ed effimeri confini estetici – da risultare obsoleta e pressoché irricevibile in una contemporaneità dove l’apparenza regna ormai sovrana da decenni. Si poteva – e forse doveva – compiere uno sforzo di adeguamento ben maggiore. Al contrario, questa versione firmata da un Bill Condon ormai da tempo del tutto risucchiato da scontate logiche di mercato – di suo ricordiamo l’interessante Demoni e Dei (1998) sulla figura del cineasta James Whale ed il suo complesso rapporto con il Frankenstein da lui diretto nel 1931; per tacere del secondo, ultra-splatter, capitolo dell’horror Candyman (1995) – difetta proprio nella capacità di sintonizzare un testo atemporale al presente. I pochi spunti di un qualche interesse vengono solo accennati, senza essere minimamente sviluppati. All’apparentemente idilliaca atmosfera del villaggio dove abita la protagonista Belle (interpretazione al solito anonima di Emma Watson, non aiutata dalla banalità dello script) avrebbe dovuto fare da contraltare in maniera assai più netta un becero conservatorismo di fondo che vede rifiutata la cultura a trecentosessanta gradi come fonte di guai ed in generale la visione del “diverso” al pari di un pericolo mortale. Istanze purtroppo sempre molto d’attualità. Oppure la rapidissima sequenza – pochi secondi durante il gran ballo finale – nella quale si allude con chiarezza all’omosessualità di uno dei personaggi di contorno (il Lefou, amico di Gaston) buttata lì a mo’ di gag più o meno divertente come se decenni di lotta per i diritti della libertà di scelta sessuale non fossero mai avvenuti. Tutti segnali che indicano, oltre che posizioni discutibili, una precisa volontà di tenersi lontani da qualsivoglia “rischio” narrativo che avrebbe potuto elevare davvero a nuovo splendore una favola risaputa.
Restano, per chi si accontenta, la perfezione ormai data per scontata della computer graphic; uno sfarzo scenografico che conferma l’indubbia eleganza della confezione, la bella colonna sonora ancora griffata Alan Menken e qualche momento spettacolare sul finale nella lotta tra una Bestia inizialmente – ed invero comprensibilmente – un po’ misantropa visto l’incantesimo di cui è rimasta vittima, e il vile Gaston, autentico ricettacolo dei peggiori vizi umani. Un cattivo così monodimensionale da suscitare quasi compatimento, piuttosto che sacrosanta indignazione.
Beati allora quei grossi nomi, presenti nel cast, i quali hanno rimpinguato adeguatamente le rispettive tasche prestando la voce, nella versione originale, agli oggetti animati del castello rimasti fedeli all’altezzoso principe tramutato in mostro. Uno dei non moltissimi motivi per restare in sala fino alla fine consiste infatti nel riconoscere le loro fattezze abbinandole ai vari utensili, rimanendo sorpresi nel notare la presenza di un irriconoscibile Ewan McGregor, del grande Ian McKellen, di un affettato Stanley Tucci e soprattutto di una solare, a dispetto dell’età che avanza, Emma Thompson. Tutti loro, spettatori compresi, avrebbero decisamente meritato un film meno scontato.
Daniele De Angelis