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Vittoria e Abdul

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VOTO: 6

Il valore della fedeltà

Presentato Fuori Concorso (giusta collocazione) alla 74esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Vittoria e Abdul di Stephen Frears sarà distribuito da Universal Pictures nelle nostre sale dal 26 ottobre, permettendo a molti di sognare attraverso una “favola” di amicizia e lealtà. Sono questi i primi sentimenti che vengono in mente assistendo alla storia – «basata su fatti veri, per lo più» (si legge all’inizio) – di un uomo e una donna, sulla carta, completamente lontani. Il regista britannico che tanto ci aveva conquistato con Philomena, in quest’occasione si può dire che porti a casa il risultato senza lasciare un segno a futura memoria, almeno cinematograficamente parlando. Gli va riconosciuto di render nota, ancor più al grande pubblico, la vicenda (non è la prima volta che ciò accade). Tutto ha inizio ad Agra nel 1887, Abdul (Ali Fazal) insieme a un suo amico (Adeel Akhtar) vengono incaricati di portare alla Regina Vittoria (Judi Dench) il mohur come segno di riconoscenza per aver apprezzato i tappeti creati in India, in occasione del suo Giubileo d’oro. Nel corso della cerimonia ufficiale, in cui lo sceneggiatore Lee Hall calca la mano sul cerimoniale di corte strappando sorrisi, proprio trasgredendo a una regola («non guardare la sovrana», gli era stato ordinato), accade l’incrocio di sguardi. Il “diverso”, in questo caso, diventa l’occasione per la regina Vittoria di evadere dalla sua routine, riflettere su ciò che le viene propinato da chi le gravita attorno, riprendendo a ragionare con la propria testa. Questo cambiamento, messo in essere grazie all’incontro con l’altro, lo si percepisce anche dai gesti: se prima il suo entourage l’andava a svegliare, trattandola come se fosse una bambola – anziana e non autosufficiente -, con Abdul la donna riscopre la voglia di vivere e approfondire una cultura differente, ma anche strettamente connessa al suo ruolo di imperatrice d’India. I due hanno nazionalità e ranghi evidentemente lontani, eppure il rapporto che si instaura riesce a commuovere mandando in crisi il figlio erede al trono (colui che divenne re Edoardo VII) e tutta la corte. Tutto ciò fu fatto cadere deliberatamente nell’oblio e adesso la Settima Arte ce ne rende memoria, basandosi sul libro della giornalista Shrabani Basu, che, alcuni anni fa, ha scoperto i diari hindustani scritti dalla regina. «Capisco l’urdu ma non lo leggo. Abdul aveva scritto delle righe in carattere romano per Vittoria e io ho capito quelle. La parte solo in lingua urdu l’ho fatta tradurre. C’erano 13 volumi», ha dichiarato la scrittrice. Dal canto suo Frears ci ha già dimostrato di saper guardare la Storia cogliendola anche in piccole grandi storie, propinandocela in Vittoria e Abdul con uno humor che alleggerisce anche tasti più impegnativi come possono essere i discorsi sulla razza e la religione (Abdul diventa per lei un maestro spirituale e lui è musulmano).

Maria Lucia Tangorra

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