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Upon Entry

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VOTO: 9

L’incubo americano

Gioiellino della 16ma edizione del Festival del cinema spagnolo e sudamericano, Upon Entry (L’arrivo), opera prima (in qualità di registi) degli iberici Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez è un angosciante thriller psicologico che sorprende e coinvolge, tenendo lo spettatore inchiodato alla sedia alla stregua dei due protagonisti, in attesa che si arrivi ad un finale.

Diego, urbanista, ed Elena, ballerina ed insegnante di danza, hanno vinto la lotteria dei visti per gli Stati Uniti; desiderosi di iniziare una nuova vita lontano da casa (Elena, spagnola, per allontanarsi da genitori troppo invadenti; Diego, venezuelano che ha lasciato un paese politicamente pericoloso, è in cerca di una nuova patria) partono per Miami, con scalo a New York. Arrivati all’arrivo di Newark, porta d’ingresso per gli Stati Uniti, vengono fermati da zelanti -quanto indisponenti- agenti della dogana, interrogati, perquisiti, aizzati l’uno contro l’altra, messi a nudo nell’anima e nell’intimità della loro vita.

Upon Entry si basa sulle esperienze vere dei due registi (compreso il balletto preteso da uno dei due inquisitori) ed è raggelante nel vedere il sogno americano trasformarsi a poco a poco in incubo, la tenerezza tra i due innamorati mutare nel dubbio e nel sospetto, soprattutto da parte di Elena, cui Diego ha omesso di raccontare un capitolo importante del proprio passato. Ma quel che si sarebbe potuto chiarire senza drammi, viene usato dai due agenti delle dogana come arma contro di loro in un gioco distruttivo senza pietà.

Quel che appare lampante è la critica verso un sistema distorto, che lascia la polizia libera di abusare del proprio potere, di mentire durante l’interrogatorio, di limitare pesantemente la libertà personale pur rimanendo nei limiti di ciò che è concesso fare; Diego ed Elena sono isolati dal mondo, rinchiusi in una stanza senza la possibilità di comunicare, costretti a tenere il telefono cellulare spento e a rispondere a domande personali, intime, inopportune; colpevoli, probabilmente, solo di volersi trasferire negli Stati Uniti. Siamo nell’epoca del muro di Trump, del freno all’immigrazione, e Diego è venezuelano; l’accusa è di usare i legami sentimentali per acquisire la Green Card; una sorta di razzismo preventivo, messo in pratica da chi, probabilmente, l’ha subito a sua volta: l’agente che per prima li inquisisce, in modo subdolamente amichevole, è anch’ella chiaramente immigrata dall’America Latina. Un ritratto non troppo lontano dalla realtà se il film, partecipando ad un festival di film gialli, è stato premiato proprio dalla giuria di poliziotti perché riporta fedelmente il comportamento della Polizia in questi casi.

C’è da dire inoltre che l’aeroporto di per sé è una sorta di limbo per i viaggiatori, soggetto alle proprie leggi: non sei più nel paese di partenza ma non sei ancora in quello d’arrivo, sospeso in un luogo etereo, per certo verso indifeso, in attesa di giudizio. A confronto con i due sadici inquisitori (ché la violenza psicologica di cui Diego ed Elena sono oggetto non si distacca poi tanto dall’Inquisizione spagnola), la verità viene usata, distorta a piacimento, per estorcere confessioni, vere o false non ha importanza.

La bravura dei protagonisti è tassello fondamentale di Upon Entry; a fronte di uno script anche molto teatrale, pieno di ritmo e sottotesti emotivi, Alberto Amman (Diego) e Bruna Cusì (Elena) rendono perfettamente il pathos della situazione (le reazioni di Elena nello scoprire la verità, la sua lenta presa di coscienza e la sua rabbia fino al chiarimento con Diego, sono una prova d’attrice sostanziale) mentre Laura Gomez incarna diabolicamente l’agente Vasquez, in un gioco a tre serrato fino all’ultimo fotogramma.

Michela Aloisi

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