Il sangue che mente
Tutto il mondo è paese. Anche nella finzione dell’universo fantastico iniziato da Len Wiseman e Kevin Grevioux nel 2003 corrispondente al titolo di Underworld, cosa non si fa per il Potere. Praticamente tutto. Con le esponenti del gentil sesso, personaggio principale a parte, a guadagnarsi il simbolico proscenio. Il problema è che, questo quinto capitolo della saga denominato – giusto per mettere le cose in chiaro sul conflitto bellico che seguirà – Underworld: Blood Wars, vive solo di questo. Cioè di trame occulte dietro le quinte, tutt’altro che cristalline nel loro dipanarsi narrativo, incentrate su chi debba comandare cosa, intervallate da sporadiche sequenze d’azione culminante in una battaglia finale tra i ben conosciuti vampiri aristocratici e gli incolti, anche nel senso di peluria, licantropi dalle apparenti fattezze umane ma pronti alla mutazione allorquando l’adrenalina sale. Tutto qui. Per un’ora e mezza che pare durare il doppio anche perché il film ignora volutamente ogni minima possibilità di addentrarsi in qualsivoglia sottotesto alternativo per approfondirlo.
Torna ovviamente Selene, la vampira con il senso di giustizia interpretata dalla bella Kate Beckinsale. E sulle virtù estetiche dell’attrice inglese non ci sono dubbi. Affidandosi però in cabina di regia dell’esordiente Anna Foerster – non a caso tanto curriculum televisivo alle spalle, tra cui episodi di Criminal Minds e Outlander – la Beckinsale pare la copia sbiadita di una Milla Jovovich privata del suo compagno-mentore Paul W.S. Anderson ed il tutto sembra più simile ad una puntata di un qualsiasi serial televisivo, con tanto di iniziale “riassunto” delle puntate precedenti. E infarcire il cast di volti di stretta provenienza da piccolo schermo – tipo il Tobias Menzies de Il trono di spade, oppure la Lara Pulver di True Blood – finisce solo con il rafforzare tale impressione.
Sicuramente Underworld, inteso come saga nella propria totalità, ha da subito puntato tutte le sue carte sulla spettacolarità estrema, la bellezza dell’azione in confezione di lusso riservata agli esteti del genere. E qualche successo, nello specifico, lo ha anche ottenuto; perché sinora i primi quattro capitoli avevano, bene o male, retto il confronto con le ambizioni di partenza. Nel caso di quest’ultima produzione, al solito girata in una Praga in versione eternamente notturna indispensabile alla sopravvivenza dei vampiri, però si è certamente esagerato nell’affidarsi ad un côté visivo incapace di sorreggere il lungometraggio nella completezza della sua durata. Pochissime sequenze in grado di rimanere impresse nella retina dello spettatore – tra queste un duello tra i ghiacci e quelle inerenti il superpotere di “leggere” la verità sulle persone attraverso il sapore del loro sangue, momenti che sprigionano una ben definibile sensualità – accompagnate da una visione stereoscopica tra le più superflue del cinema recente. Non si pretendeva certo un compendio fantasy sulla lotta di classe tra i due mostruosi gruppi destinati a fronteggiarsi in eterno – ma attenzione alla figlia di Selena, creatura dal sangue ibrido identificabile come nuovo, ipotetico, Messia al femminile in ulteriori, temibili, sviluppi della storia – ma un qualcosa in grado di elevare l’insieme oltre la soglia di una soap opera con protagoniste creature dalla dentatura ben sviluppata magari sarebbe stato lecito attenderselo. Dato che tra quest’ultimo film e il precedente Underworld – Il risveglio è trascorso quasi un intero lustro, è possibile affermare con ragionevole certezza che solo il tempo saprà dare una risposta al non fondamentale interrogativo sul fatto se ci saranno ulteriori seguiti o meno, botteghini permettendo. Nel frattempo, archiviato l’esito non felice di Underworld: Blood Wars, non ci perdiamo di certo il sonno…
Daniele De Angelis