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Unbelievable

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VOTO: 7.5

Una pesante verità

Dal 13 settembre 2019, Netflix ha distribuito sulla propria piattaforma una miniserie composta da otto episodi che narra una serie di fatti realmente accaduti. La serie, dal titolo Unbelievable, nasce dalla voglia di portare sul piccolo schermo ciò che un’inchiesta giornalistica – che ha portato coloro che lo hanno scoperto a vincere il Premio Pulitzer – ha condotto alla luce a seguito di numerosi anni di indagini poliziesche che sono finiti in un vicolo cieco. L’inchiesta in questione riguarda una serie di violenti stupri commessi tra gli stati di Washington e del Colorado. La trama della serie è quella di raccontare, tramite la visione di due detective e di una delle vittime, in un intreccio di sceneggiatura perfettamente combaciante, il modo è stata interpretata la gravità degli eventi. Showrunner della serie è la regista e sceneggiatrice Susannah Grant, la quale ne dirige anche alcuni episodi, insieme ai colleghi Ayelet Waldman e Micheal Chabon.
A primo impatto tutto lascia presagire alla classica serie poliziesca, eppure Unbelievable si distingue per il verso che prende la sceneggiatura. La serie non tende a sposare il punto di vista delle indagini poliziesche che dovrebbero condurre alla ricerca del colpevole – anche se le scene su questo linea sono molteplici – ma tenta più che altro a raccontare il dolore e l’orrore che può scatenare un evento del genere sulla pelle di una giovane adolescente. Ed è infatti da qui che parte la serie, dal volto di Marie Adler (Kaitlyn Dever), giovane ragazza con un vissuto non proprio amorevole vittime di uno stupratore. Quando Marie si fa forza e decide di denunciare all’accaduto alla polizia, ella non viene presa sul serio e i detective che la seguono la costringono a firmare un atto di falsa testimonianza. Solo con queste poche battute di soggetto, riassunte nella prima parte del primo episodio della serie, già si può immaginare la durezza e spietatezza alla quale viene prostrata la ragazza, costretta di fatto a negare qualcosa che è successa veramente. La serie però non si chiude qui, nello stato di Washington avviene un caso simile che risveglia le attenzioni di una detective: Karen Duvall (Merritt Wever). La detective nota che il caso al quale è stata assegnata è simile a quello assegnata ad un’altra poliziotta di spessore, Grace Rasmussen (Toni Collette). La serie segue quindi questi due binari paralleli, le indagini delle due detective e le disavventure di Marie scaturite dal fatto di essere stata messa alla gogna, in un susseguirsi di eventi che raccontano l’orrore della situazione e la difficile riuscita della scoperta di un potenziale colpevole. Più volte infatti ci troviamo davanti a bivi nella sceneggiatura che lasciano lo spettatore con una forte tensione anche per seguire le scelte dei personaggi presenti che, in più occasioni, psicologicamente, saranno messi a dura prova. Le ferite inferte ad una giovane ragazza, la ricerca sfrenata di un ipotetico colpevole e la frustrazione per le indagini che spesso si rivelano un vicolo cieco, sono i fattori che arricchiscono una sceneggiatura redatta in maniera impeccabile. Persino la pesante critica dei modi sfruttati dalla polizia è fortemente evidente e non lascia spazi a equivoci o a seconde interpretazioni. Il tono oscuro della serie viene anche evidenziato dalla fotografia che rimane piuttosto oscura per tutta la durata degli eventi e si schiarisce nel momento in cui le cose migliorano fino ad illuminarsi in un finale ricco di speranza e gratificazione. Per quanto sembra una serie che tratta eventi realmente accaduti e si avvicina notevolmente a molti polizieschi che già abbiamo seguito fino alla nausea, Unbelievable contiene al suo interno un pizzico di originalità che, sicuramente, avrà fatto storcere e non poco il naso a più di qualche d’uno. Si tratta infatti di una serie in cui le donne sono protagoniste e le donne occupano gran parte dei momenti sullo schermo. Ogni personaggio delle tre protagoniste viene perfettamente illustrato nei momenti pubblici e in quelli più intimi a tema famigliare, lasciando completamente in secondo piano i personaggi maschili che, seppur presenti e anche in discreta quantità, non vengono mai perfettamente analizzati ma solo resi utili al fine dell’andare avanti con la serie. Un prodotto classico ma con uno stile prettamente innovativo, capace di intrattenere lo spettatore con una buona dose di movimento sospinto dalla forte ricerca di una pesante verità che riconsegni un po’ di giustizia a chi è stato malamente trattato.

Stefano Berardo

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