Sotto scacco
Il corto parte con una macchina da scrivere che muove i suoi tasti nell’intento di terminare una lettera. “Fascista, che fine hai fatto?’” è sicuramente una frase ambigua, contorta, che può essere interpretata in vari modi. La difficolta nella fase di scrittura di un cortometraggio molto spesso si gioca nei primi istanti di visione, perché è lì che si conquista l’attenzione del pubblico. La musica intorno a quei primi fotogrammi di Una partita ai confini del mondo – lavoro presentato alla terza edizione dell’IveliseCineFestival – sottolinea sin da subito la malinconia e la sensazione di oblio che si troverà per tutto il resto della storia, che vede come protagonista Luigi, un uomo in lutto vista la recente scomparsa della moglie. Sta seduto lì, in quel limbo tra la luce e il buio, in silenzio, e soprattutto in una condizione di attesa. Da quando quel tragico avvenimento è accaduto nella sua vita, non rivolge parola con nessuno, nemmeno con il figlio, in procinto di andare a vivere con la fidanzata. Nel momento in cui prepara la valigia, il suo sguardo incrocia una scatola di legno. Non si sa cosa ci sia al suo interno, ma il volto dice tutto. Forse una speranza per il padre rinchiuso nella gabbia del lutto c’è.
Il racconto da lì in poi, attraverso continui montaggi classici, offre un collegamento ancora vivo nell’animo del protagonista, che non riguarda solo il ricordo, il flusso temporale tra passato e presente, ma si focalizza sull’immagine degli scacchi. La scacchiera è il punto di contatto con il suo vecchio amico Vittorio, nello spazio e nel tempo. Il regista David Valolao infatti mostra la sfida intrapresa tra i due, sia che si tratti dell’accogliente salotto di casa, sia che si tratti dello scomodo accampamento durante la guerra in Africa. Bisogna distogliere i pensieri negativi, e concentrarsi sul momento e sulla mossa da compiere, perché quella determinerà il futuro della partita. In battaglia le paure emergono senza filtro, costringendo l’uomo all’attesa, aspettando il movimento dell’avversario che può avvenire da un momento all’altro, di giorno o di notte. Quello che inizialmente sembrava essere un dispregiativo, la parola comparsa nella prima sequenza acquisisce un diverso significato, come a spronare e a far reagire un uomo che subisce il peso del conflitto, esteriore, quello delle bombe, e interiore, quello del lutto. “Pensa a giocare” afferma Vittorio nel momento in cui Luigi gli chiede se ce la faranno domani al fronte, se mai riusciranno a sopravvivere.
L’autore ottiene empatia e pathos mischiando la musica degli archi con le immagini sfumate e dalla profondità chiaro scuro, una scelta visibile soprattutto con la presenza in scena del personaggio principale, seduto con la luce a illuminare il soggiorno o con la lanterna ad accendere una serata fredda e oscura. Interpretazioni delicate sono quelle messe in scena in Una partita ai confini del mondo, così come le inquadrature composte (dai piani sequenza ai primi piani) e gli stacchi di montaggio precisi in grado di offrire dinamicità alla storia.
Riccardo Lo Re