Quando Dylan bussò alle porte del Signore
Accadeva verso la fine degli anni Settanta che il genio della musica Bob Dylan decidesse di convertirsi al cristianesimo. Come di consueto, la stampa prestò fin da subito grande attenzione all’evento. La cosa che, paradossalmente è stata meno analizzata è, in realtà, proprio la produzione musicale dell’artista che ha visto la luce durante quegli anni. I testi delle canzoni da lui scritte, infatti, vanno di pari passo con ciò che Dylan stesso stava allora vivendo. Una sorta di ricerca in merito sarebbe stata indubbiamente necessaria. Chi doveva dircelo, dunque, che sarebbero dovuti passare quasi quarant’anni prima che qualcuno decidesse di trattare l’argomento? Siamo d’accordo, meglio tardi che mai. E così, nel 2017, la produttrice e documentarista statunitense Jennifer Lebeau ha deciso di raccontarci questo importante periodo della vita – e della carriera – di Bob Dylan, realizzando l’interessante documentario Trouble No More, presentato in anteprima, all’interno della Selezione Ufficiale, alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Il lavoro della Lebeau è strutturato, invero, in modo assai semplice: una serie di filmati direttamente dagli anni Ottanta ci mostrano Dylan durante alcuni dei suoi concerti, avvenuti immediatamente dopo la pubblicazione di album come “Slow Train Coming” (1979) o “Shot of Love” (1981). Tra una performance di un pezzo e l’altra, inoltre, vediamo l’attore Michael Shannon nelle singolari vesti di un invasato predicatore, intento a recitare sermoni scritti per l’occasione da Luc Sante. Ciò di cui Shannon di volta in volta parla va di pari passo con i temi trattati di volta in volta dallo stesso Dylan nei testi delle sue canzoni.
E così, proprio per questa sua scelta di approfondire questo particolare momento vissuto dal cantautore in una maniera così singolare, Jennifer Lebeau si è dimostrata particolarmente coraggiosa. Non vi sono, ad esempio, didascalie che ci introducono il periodo storico o gli avvenimenti pregressi. Non vi sono spezzoni di interviste allo stesso Dylan o a chi, all’epoca, ha avuto modo di stargli vicino. Non viene fatta alcuna analisi approfondita su come sia realmente cambiato il suo modo di fare musica e su come la religione abbia influenzato le sue produzioni. Quello che ci viene mostrato è la pura realtà dei fatti: l’artista all’opera durante alcuni dei suoi concerti. Alle immagini, dunque, il compito di fare da narratrici esclusive. L’unica interpretazione di ciò che Bob Dylan ha voluto produrre ci viene offerta, appunto, proprio dal “predicatore” Michael Shannon. Ed ecco che, anche in questa occasione, è il cinema – in questo caso di finzione – a raccontarci come sono andate le cose. Un cinema che, di conseguenza, ci viene qui presentato nella sua declinazione più pura.
Una scelta così radicale, tuttavia, indubbiamente finisce per sollevare non poche critiche a riguardo. Uno dei rimproveri che si potrebbero muovere contro la Lebeau, ad esempio, è quello di aver dato vita ad un prodotto eccessivamente essenziale, che, a chi conosce poco il tema trattato, trasmette ben poco. Ovviamente, ogni opinione è soggettiva. Quello che, invece, è decisamente oggettivo è il fatto che la visione di un documentario come Trouble No More, per le appassionanti performance di Bob Dylan, per il loro riuscito montaggio alternato con i sermoni di Michael Shannon e per il ritmo crescente dell’intero lavoro, sia un’esperienza che vale sempre la pena vivere. Ben vengano, dunque, le scelte registiche del Jennifer Lebeau. D’altronde, come spesso abbiamo avuto modo di notare, less is more!
Marina Pavido