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Toxic

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VOTO: 8

La fabbrica delle illusioni

Una manifestazione come il Trieste Film Festival che da sempre ha dato ampio spazio al cinema sulle e delle donne non poteva non ospitare una pellicola come quella scritta e diretta da Saulė Bliuvaitė, che la kermesse giuliana ha presentato in anteprima italiana nel concorso della 36esima edizione dopo una serie di importanti selezioni e riconoscimenti nel circuito festivaliero internazionale, tra cui il Pardo d’Oro a Locarno 2024.
L’opera prima della regista lituana dal titolo Toxic (Akiplesa) racconta la storia delle tredicenni Marija, timida e impacciata per via di un problema alle gambe che la ostacola nei movimenti, e Kristina, sfacciata e intraprendente. Le due ragazzine stringono amicizia quando iniziano a frequentare una scuola per modelle con lo scopo di partecipare a un casting che potrebbe cambiare per sempre il corso delle loro esistenze. La coppia si ingegna con modi più o meno leciti per trovare i soldi necessari a partecipare al casting, arrivando a violare il proprio corpo nel tentativo di raggiungere gli standard di magrezza richiesti. Il contesto sociale in cui Marija e Kristina crescono, ossia una fatiscente cittadina mineraria in cui droga, alcol e abbandono la fanno da padrone, ma a colpire, oltre al vuoto di valori, è la competizione tra adolescenti pronte a tutto pur di abbandonare una regione priva di prospettive.
Ecco allora emergere dal magma che scorre nelle venature narrative e drammaturgiche i punti cardine su e intorno ai quali ruota e si sviluppa l’opera in questione. Da una parte troviamo i capitoli di un romanzo di (de)formazione che offre uno spaccato adolescenziale crudo e feroce che parla dell’accettazione di sé, della presa di coscienza del proprio corpo, ma anche della scoperta del mondo esterno e della propria sensualità, con l’aggravante di famiglie e adulti assenti o incapaci di fornire la guida necessaria a discernere il bene dal male. Dall’altra troviamo delle adolescenti che, sognando di fuggire dalla desolazione della città senza sbocchi dove sono nate, stringono un forte legame nella scuola locale per modelle, motivate da una vaga promessa in un futuro migliore. E qui entra in campo, muovendosi e sviluppandosi parallelamente, la componente d’inchiesta con la quale la regista esplora un mondo fatto di bullismo, discriminazione e una completa assenza di sistemi di supporto, sulla quale non hanno nessuna remora a speculare le agenzia o pseudo tali che vendono alle vittime di turno un sogno a buon mercato a base di ristrettezze, speranze e facili illusioni.
Queste due animano convivono e coesistono alla perfezione in un film che lascia il segno per la potenza e la lucidità dimostrate nel trattare argomentazioni complesse, scivolose e dal peso specifico rilevante, gli stessi che in chiave documentaristica i colleghi Ashley Sabin e David Redmon avevano affrontato nello scioccante Girl Model, che gli addetti ai lavori ricorderanno per la meritatissima vittoria alla Festa del Cinema di Roma 2011. Il documentario dedicato all’inferno delle modelle bambine spedite dalla Siberia al Giappone con il miraggio di lavorare nella moda, eterei pacchi postali prigionieri di una catena di sfruttamento fondata sull’ingenuità e disperazione delle famiglie, non faceva sconti a nessuno, sbattendo la verità in faccia a un pubblico che probabilmente all’epoca del suddetto problema non ne era nemmeno al corrente. Con Toxic tutto ciò ritorna prepotentemente alla memoria, riaprendo ferite forse mai cicatrizzate. La pellicola affonda le radici nella moda dei decenni scorsi di arruolare adolescenti dai Paesi baltici per via dei colori chiari e del fisico sottile, che corrispondeva ai canoni richiesti dalle agenzie di modelle. Piaga, questa, che la Bliuvaitė ha avuto modo di conoscere molto bene essendone stata vittima. Il film infatti trae ispirazione dalle sue esperienze di tredicenne e dagli eventi che si sono svolti intorno a lei in quel periodo. Questa componente autobiografica, la conoscenza diretta della materia e delle tematiche trattate, contribuiscono a dare alla storia e ai personaggi che la animano una dose piuttosto elevata di verità e realismo, partecipazione e accuratezza nelle descrizioni, con le protagoniste (interpretate in maniera convincente e con grandissima naturalezza dalle giovani e promettenti Ieva Rupeikaitė e Vesta Matulytė) che diventano di fatto suoi alter-eghi.
Pur essendo un’opera prima, la regista di Kaunas dimostra già una grandissima maturità e le idee molto chiare su cosa vuole raccontare e come lo vuole raccontare. Dalle scelte stilistiche, dalle soluzioni visive funzionali e dal grande gusto per la composizione attraverso le quali porta sullo schermo le disavventure dei personaggi, emergono tutte le indubbie qualità tecniche di un’artista della quale sentiremo parlare anche in futuro. Se il buongiorno si vede dal mattino, allora siamo già sulla buona strada. Staremo a vedere.

Francesco Del Grosso

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