Prendi il toro bianco per le corna
Un tribunale giovanile invia Tom Medina nella Camargue, una regione nel profondo Sud della Francia, affidandolo alle cure di Ulysse, un uomo dal cuore d’oro che vive in armonia con la natura. Abitato da visioni, affascinato dai tori e dai cavalli, Tom diventa un apprendista guardiano sotto l’egida di Ulysse. Smette di rubare, è affamato di sapere e aspira a cambiare. Davanti alla costante ostilità che deve affrontare, Tom continua a sfidare il destino. A un certo punto incontra sul suo cammino Suzanne e le cose prendono un’altra piega. Quale? La risposta la lasciamo come è giusto che sia alla visione della pellicola in questione, il cui titolo corrisponde al nome e al cognome del personaggio principale della suddetta storia. Una storia, questa, nella quale i più attenti potranno rintracciare una serie di elementi in comune con l’esistenza di chi l’ha scritta e tradotta in immagini, suoni e parole. Quel qualcuno è Tony Gatlif, nome d’arte di Michel Dahmani, pluridecorato regista e sceneggiatori di origini algerine.
Tom Medina, presentato tra gli Eventi Speciali della 22esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce dopo l’anteprima mondiale al 74° Festival di Cannes, è senza alcun dubbio il film che più si avvicina alla sua storia fra quelli sin qui realizzati in quarant’anni e passa di carriera. La sua ultima fatica dietro la macchina da presa non è autobiografica come ci ha tenuto a precisare in più di un’occasione, ma si ispira a fatti veri che gli sono accaduti. Tuttavia, biografia alla mano, è ci si accorge di quanto la figura e l’identikit del protagonista siano costruiti a sua immagine e somiglianza, oltre al fatto che alcuni eventi facenti parte del racconto riportino al suo di vissuto. Il punto di partenza di quest’opera è l’educatore che lo aiutò quando viveva per le strade di Parigi dopo essere fuggito dall’Algeria negli anni Sessanta. Fu affidato a una famiglia e poi mandato in riformatorio, prima che l’incontro con il suo idolo, Michel Simon, gli stravolgesse l’esistenza, facendolo diventare lo straordinario e poliedrico artista che attraverso la sua potentissima filmografia (su tutti Exils, premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2004) abbiamo potuto conoscere e apprezzare.
È innegabile che Tom Medina sia dunque il film più personale tra quelli portati sul grande schermo dal cineasta algerino in questi decenni e che il protagonista che lo anima sia quello che più gli assomiglia. Per interpretarlo ha scelto un attore, il belga di origini italiane e spagnole David Murgia, che come lui ha sangue misto e con il quale aveva già avuto modo di collaborare nel 2014 in Geronimo. Sullo schermo Murgia diventa di fatto il suo clone cinematografico. Con e attraverso di lui, il regista apolide francese ci restituisce un personaggio dilaniato, sospeso tra più terre, alle prese con superstizioni, magie e demoni interiori. Uno di questi assume le sembianze di un toro bianco presente nella fattoria che rappresenta uno spirito minaccioso e al contempo un simbolo di forza. Tom vuole battersi con lui, vuole affrontare la forza di un animale, la sua versione della balena bianca di Melville, vista non come una bestia pericolosa, ma come una creatura che lo guida lungo il percorso di riscatto e cambiamento. Un percorso che va di pari passo con quello sentimentale nei confronti della donna che incontra e che gli rapisce il cuore.
In Tom Medina c’è tutto il cinema di Gatlif e la libertà che lo contraddistingue, i temi chiave e la musicalità che normalmente lo accompagna come una seconda pelle, che in questo caso mescola senza soluzione di continuità le sonorità gitane al brutal-pop dell’artista Karoline Rose Sun, che qui interpreta Stella, una delle ospiti del centro. La musica qui si fa nuovamente punteggiatura drammaturgica (vedi il valzer degli stambecchi rosa, la corsa dei cavalli tra le distese della Camargue), diventando un’altra lingua attraverso la quale la scrittura del regista e i personaggi del film comunicano fra loro e con il pubblico. Sta qui la sua fonte inesauribile e l’energia che riesce a sprigionare nel corso della fruizione, una di quelle che potrebbe andare avanti all’infinito.
Francesco Del Grosso