San Francisco nel cinema
Vertigo (1958) di Sir Alfred Hitchcock, tradotto dalla distribuzione italiana con un sulfureo La donna che visse due volte, è una delle opere cinematografiche tra le più amate. Inizialmente ritenuta una pellicola solo commerciale, con il passare degli anni è entrata di diritto nel famoso novero dei dieci capolavori del cinema. Già i giovani turchi dei Cahiers du cinéma avevano eletto questa pellicola come opera maestra, e François Truffaut venerava fino alla follia questo film. Per non parlare di quante volte sia stata omaggiata o parodiata. Ad esempio Brian de Palma, marchiato da molti come semplice copione di Hitchcock, ha preso Vertigo a modello per almeno due sue opere: Obsession – Complesso di colpa (1976) e Omicidio a luci rosse (1984). Se il desiderio sessuale e la violenza in Hitchcock erano solamente sublimati, nelle opere di De Palma esplodono con fragore. Vertigo, (s)oggetto del desiderio di molti filmakers, ecco che risorge attraverso la balzana idea cinefila di un trio di ammiratori canadesi, cioè Evan Johnson, Galen Johnson e il più noto Guy Maddin. The Green Fog, visto al Festival Cineuropa#32, è un divertito, quanto amorevole, atto di riverenza verso questo “guilty pleasure” cinematografico. Non si tratta, però, di un remake in senso classico, ma un “fare di nuovo” la pellicola con altri pezzi prelevati da altre pellicole o da serie televisive.
Uno degli elementi fondamentali de La donna che visse due volte di Hitchcock, che alimentava con charme e turbamento il narrato, era la città di San Francisco. La metropoli statunitense appariva nella pellicola tramite alcuni establishing shot per dare la nozione geografica, scorci visti attraverso i pedinamenti in auto di Scottie (James Stewart) e, soprattutto, con l’apparizione del ponte Golden Gate, uno dei simboli architettonici più noti d’America e finanche del cinema (anche grazie a Vertigo). Su questa base urbana, gli autori Evan Johnson, Galen Johnson e Guy Maddin, sono andati a ripescare nella storia del cinema film che erano ambientati nella città di Frisco. Hanno prelevato sequenze che potessero ricreare la dinamica dell’opera originale, e hanno concentrato i 129 minuti hitchcockiani in 63 minuti, cioè la metà del girato. In questo lavoro di (ri)taglio e cucito, ecco scorrere un profluvio di scene, in bianco e nero o a colori, che si mescolano tra loro; pezzi di opere classiche a tranci di film scadenti accompagnati da uno score musicale intrigante simile a quello di Bernard Herrmann. The Green Fog, dietro l’ironia dell’operazione, diviene un gioco anche colto, non solo riadattare scene altre al canovaccio originale, ma una sfida con lo spettatore per metterlo alla prova se è capace di identificare da dove sono stati presi questi brandelli filmici. La soluzione viene data solamente nei crediti finali, in cui scorrono, quasi fosse un trailer cinegrafico sincopato, i titoli di testa di tutte le opere fruite, tra cui una scena di Vertigo (il close-up della mano sulla scala). Senza stilare la lista di tutto il materiale, che consta di 98 lungometraggi e tre serie televisive (seppure gli autori abbiano visionato oltre 200 pellicole ambientate a San Francisco), è giusto mettere in rilievo la presenza di scene provenienti da La signora di Shanghai (1947) di Orson Welles, Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock, Bullit (1968) di Peter Yates, Le strade di San Francisco (1972-1977); Basic Instict (1992) di Paul Verhoeven.
Roberto Baldassarre