Febbre estiva
L’evocativo titolo letterario, cioè del romanzo “L’isola del tesoro” (Treasure Island) di Robert Louis Stevenson, pubblicato nel 1883, si consuma nella citazione ad apertura della pellicola: “I don’t know about treasure, but I’ll stake my wig there’s fever here” (tradotta nell’edizione letteraria italiana in “Non so del tesoro, ma mi gioco la parrucca che qui c’è la malaria”). Questa esclamazione veniva proferita dal Dottor David Livesey quando parte della variopinta ciurma sbarcava sull’isola, e nella pellicola, l’esclamazione trasformatasi in esergo, è utilizzata per dare le coordinate di come approcciarsi alla visione. Treasure Island (in originale L’île au trésor) di Guillaume Brac, è un documentario narrativo che esplora un rinomato impianto balneare nella regione parigina, che nella stagione estiva è super affollato e bramato dai febbricitanti gitanti. Quindi, niente pirati, tesori, duelli e avventure marittime, ma solo un reportage sociologico con toni solari su questa meravigliosa isola di divertimenti.
Treasure Island, visto al Festival Cineuropa#32, comincia, però, con un arrembaggio di un gruppo di ragazzini, probabilmente appassionati lettori del testo di R.L. Stevenson, che cerca di entrare in tutti i modi in questo paradiso, isolato con recinti, videocamere e guardie di sorveglianza, dal mondo ordinario e quotidiano. E nella sequenza successiva, segue con un altro “arrembaggio”, cioè quello di due ragazzi adolescenti che vuole conquistare delle ragazze. Un inizio divertente che vuole certificare questa febbre che coglie le persone per questa spiaggia, ma anche un avvio che delinea la costruzione della pellicola che, in modo frammentario, raccoglie le diverse tipologie per comporre un divertente affresco sociologico e finanche etnologico. Il regista Guillaume Brac, però, non realizza un classico documentario, solamente in un paio di occasioni i veri personaggi immortalati parlano direttamente agli spettatori (l’anziano bagnante e una delle guardie di sorveglianza che rievoca il suo passato), nelle altre circostanze la situazione – veritiera – viene ricreata. La scelta di centrare l’argomentazione su questo luogo per un’intera stagione, e filmare la diversa umanità che la frequenta e la vive, fa tornare alla mente, in un certo qual modo, i documentari di osservazione di Frederick Wiseman, che scelto il “territorio d’indagine” ne investigava le norme e le relazioni umane al proprio interno. Tra l’opera di Wiseman e questa di Brac c’è un’enorme differenza e profondità, certamente, però anche in questo piccolo documentario è ravvisabile un poco una comparazione tra i differenti ceti della società francese. Probabilmente l’ispirazione maggiore di Treasure Island, e la sua essenza, andrebbe cercata in un’altra opera, ovverosia nel quadro “Un dimanche après-midi à l’Île de la Grande Jatte” (Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte), dipinto da Georges Seurat tra il 1883 e 1885. Particolarità di quest’opera, “antenata” di una fotografia, è quella di essere composta da piccoli puntini di pittura ravvicinati, che visti nel loro insieme compongono la scena completa. Questo documentario di Brac è molto vicino, nella concezione, al dipinto di Seurat, perché i diversi puntini separati (le vicende o i singoli individui), alla fine compongono una fotografia di questo mondo balneare.
Roberto Baldassarre