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Les affamés

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VOTO: 7

Meglio non fare rumore

Primo dei due zombie-movie (il secondo è l’irlandese The Cured di David Freyne) presenti nella sezione After Hours della 35esima edizione del Torino Film Festival, Les affamés è approdato sugli schermi della kermesse piemontese sulla scia del passaparola e dei riconoscimenti raccolti nel circuito festivaliero, a cominciare dal premio per il miglior film canadese vinto alla passata edizione del Toronto International Film Festival. Il passaparola positivo è poi rimbalzato oltreoceano sino a Torino, dove abbiamo avuto modo di vederlo in anteprima italiana, dopo avere fatto tappa anche in altre manifestazioni del Vecchio Continente come ad esempio il Cineuropa Compostela 2017.
Aubert ci catapulta senza se e senza ma in un villaggio sperduto nel Nord del Quebec, dove si sta succedendo qualcosa di inquietante: improvvisamente i residenti si sono trasformati in creature feroci e aggressive, che attaccano le proprie famiglie, i propri amici e chiunque capiti loro a tiro. Una metamorfosi in zombie sanguinari inarrestabili che però non ha colpito tutti gli abitanti: alcuni sopravvissuti si nascondono, armati fino ai denti, nei boschi che circondano il paesino. A muoverli è il bisogno di unirsi contro la minaccia incombente e, soprattutto, la necessità di salvare la pelle.
Ora, come spesso accade in questi casi, l’attesa e la curiosità nei confronti della pellicola di turno non possono non crescere in maniera esponenziale, soddisfacendo o deludendo tale attesa. Per quanto ci riguarda, il film scritto e diretto da Robin Aubert non ci ha convinto pienamente, ma ha saputo comunque conquistarci con almeno una mezza dozzina di ingredienti di alta qualità. Questi sono in primis le atmosfere che il cineasta canadese, qui alla sua quinta prova sulla lunga distanza, ha saputo restituire sul grande schermo. Le atmosfere bucoliche rarefatte delle spazi aperti e quelle claustrali inquietanti di quelli chiusi, vengono mescolate sapientemente, quanto basta per aumentare in maniera esponenziale il fattore shocker sul quale la scrittura e la messa in quadro puntano moltissimo. Senza il suddetto fattore, infatti, il risultato finale perderebbe tanto in termini di efficacia della resa perché, come avrete modo di constatare nel corso della fruizione, il racconto e la drammaturgia sono in Les affamés volutamente ridotti all’osso. Le scariche elettriche date alla timeline da scene come la fuga notturna dalla fattoria, lo scontro nel bosco e quello nella nebbia dell’epilogo, sono di forte impatto e contribuiscono non poco alla causa. Per riempire i vuoti lasciati tra una scarica e l’altra, il cineasta si appoggia allo humour nero dei dialoghi e alla costruzione lenta della tensione. Di conseguenza, l’apporto delle atmosfere e l’effetto sorpresa diventano determinanti per colpire alle spalle lo spettatore di turno e per fargli vivere un’esperienza audiovisiva altamente ansiogena. La narrazione, di fatto, si riduce a una fuga rocambolesca tra i boschi, le fattorie abbandonate e le distese verdeggianti del Canada, dove ogni minimo rumore può attrarre l’attenzione di un’orda di zombie assetati di sangue e costare ai sopravvissuti la vita. E in tal senso, la nostra mente genera di default un mix filmico che chiama all’appello The Walking Dead e un cult del passato come The Wicker Man.

Francesco Del Grosso

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