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The Continent

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VOTO: 6

Da est a ovest, la Cina on the road

Se il cinema e la letteratura statunitensi, nel dedicarsi con abnegazione alla gloriosa pratica del “road movie”, hanno potuto rifarsi più volte alla suggestiva formula del “coast to coast”, questa possibilità a un’altra nazione di stazza continentale come la Cina è ovviamente negata: qualora uno si metta in cammino dall’Oceano Pacifico verso l’interno, è quasi scontato che, prima di abbandonare il confine cinese, in qualche montagna o deserto dovrà pur andare a sbattere le corna. Ed è più o meno quanto accade in The Continent, lungometraggio discontinuo, a tratti lezioso ma non privo di riflessioni e spunti narrativi degni di qualche attenzione, la cui regia si deve peraltro a un personaggio da tenere occhio: Han Han, che pare sia una vera e propria celebrità nel suo paese, essendosi imposto all’attenzione dei media come blogger, come cantante, come editore, come scrittore e persino come pilota automobilistico! In compenso The Continent è il suo primo lungometraggio: chissà se in virtù di una formula così ibrida e cangiante è destinato a lasciare il segno, presso i suoi connazionali, oppure a deludere i numerosissimi fan.

Da parte nostra, nel continuo susseguirsi di intuizioni narrative, paesaggi e registri diversi, si è rimasti in parte spiazzati. Ottimo, anche a livello metaforico, è senza dubbio l’incipit del viaggio, che ha inizio nell’isolotto più orientale posto sotto la giurisdizione cinese: i giovani Ma Haohan, Hu Sheng e Jiang He vi si aggirano come in una sorta limbo esistenziale, avendo deciso il governo cinese di favorire l’abbandono della sperduta località in favore di isole più grandi e popolose. Un gigantesco monumento in stile “realismo socialista” se ne resta lì, imponente, come a guardia del contraddittorio passato. Ma quando gli altri due amici decidono di accompagnare in un lungo viaggio il terzo, Jang He, appassionato di geografia e insegnante cui è stata assegnata una nuova cattedra sulla terraferma, la decisione di tagliare i ponti con quella ormai smorta quotidianità sarà talmente radicale, da spingere qualcuno del gruppo a demolire le proprie abitazioni sull’isola!

Tuttavia, proprio nella primissima parte l’alternanza tra il cambiare del paesaggio e un umorismo talora stentato si traduce in sequenze, in incontri, dal passo un po’ troppo incerto. Fortunatamente il film di Han Han cresce alla distanza, man mano che si macinano grandi distanze, sprofondando così nel cuore del continente asiatico e accumulando “on the road” una notevole serie di riflessioni sulla possibilità di scegliere veramente (memorabile la rivisitazione della parabola delle rane che bollono in pentola, inizialmente ignare del pericolo annunciato dall’acqua sempre più calda), di sottrarsi ai tanti, troppi schemi di vita già prefissati. E in questo percorso, che pure procede a singhiozzo, il cameo del grande Jia Zhangke appare un rimando importante.

Stefano Coccia

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