Catastrofe, elaborazione del lutto, Pietas
Tra i premi della 16a edizione di Asiatica Film Mediale spicca, per vari motivi, quello assegnato a Taklub di Brillante Mendoza, vincitore del premio del pubblico come Miglior Film. Tale riconoscimento ha valore innanzitutto perché sottolinea, per l’ennesima volta, la coerenza del percorso autoriale di tale cineasta; uno che, nelle Filippine, risulta da tempo tra i protagonisti di quella portentosa new wave, capace di affiancare alla tradizionale solidità e prolificità della locale industria cinematografica tutta la vivacità di un panorama indipendente straordinariamente attivo, nonché proteso verso l’esplorazione di problematiche sociali scomode, verso storie di quotidiana emarginazione, verso posizioni politiche del tutto controcorrente. L’altro motivo per cui gioire coincide con l’empatia e la comprensione mostrate dal pubblico di Roma verso un oggetto filmico già emotivamente carico, in cui l’intensità del racconto sposa il punto di vista di coloro i quali, dopo aver perso tutto per colpa di un’immensa sciagura, si ostinano comunque a cercare un possibile riscatto.
Vediamo dunque in quale microcosmo ci proietta Taklub. Il film è ambientato in uno dei territori filippini più colpiti dalla furia del tifone Haiyan, ovvero la città di Tacoblan, dove quel disastro naturale ha portato morte e distruzione in abbondanza. Molteplici sono state le vittime. Ma anche la vita dei sopravvissuti non pare affatto agevole: tanti hanno dovuto abbandonare la propria casa e vivono in tendopoli sistemate alla meno peggio, quasi tutti hanno perso qualcuno di importante nell’immane tragedia, mentre c’è chi ancora non desiste e si ostina a cercare notizie di qualche famigliare finito nella lista dei dispersi. Del resto l’antefatto stesso da cui si muove la narrazione è di una cupezza indescrivibile. Si assiste infatti all’incendio, causato nella tendopoli dall’inopportuno utilizzo di una lampada ad olio, che si porta via l’intera famiglia di un uomo destinato a cadere ben presto nella più nera disperazione. La moglie e tutti i figli bruciati vivi. Con lui nella condizione quasi impossibile di dover trovare altre motivazioni per vivere…
Questa è solo una delle diverse microstorie inserite nella dolente, sensibile opera cinematografica di Brillante Mendoza, maturo film-maker orientato come già in altre occasioni a scavare con metodo nelle pene personali e collettive, in tutti quei lutti dalla cui rielaborazione emergono risposte di timbro non omogeneo. L’ingenuo rifugiarsi nella fede, il retaggio di una pietas profonda affidato tanto ai personaggi più sensibili che alle scelte registiche dell’autore stesso, il reagire rabbiosamente alle troppe avversità: ogni cosa confluisce in un racconto corale ottimamente girato, con personaggi che rimangono scolpiti nella mente sia per la bravura degli attori che per la sensibilità del regista. E ciò rende Taklub un’odissea del dolore mai retorica, improntata anzi alle diverse sfaccettature che contraddistinguono l’animo umano, quando esso viene posto a contatto con drammi di una simile portata.
Stefano Coccia