Vieni a ballare in Puglia
Hey turista, so che tu resti in questo posto italico. Attento, tu passi il valico ma questa terra ti manda al manicomio. Mare adriatico e Jonio, vuoi respirare lo iodio ma qui nel golfo c’è puzza di zolfo, che sta arrivando il demonio.
Caparezza, “Vieni a ballare in Puglia”
Sarà anche per l’impatto sul territorio di Vendola, finto uomo di sinistra i cui scheletri nell’armadio poco alla volta stanno uscendo fuori, ma diversi artisti negli ultimi tempi sembrano essersi resi conto del potenziale orrorifico e del mellifluo Dark Side di una regione, la Puglia, che dietro l’immagine accattivante e gioiosa può rivelare, almeno in certi frangenti, un appeal tenebroso. A livello cinematografico qualche esempio interessante lo si può già fare. Il più virtuoso, a nostro avviso, resta il recentissimo Controra – House of Shadows di Rossella De Venuto, che proprio dall’immagine di una terra luminosa e assolata ha saputo estrarre le ombre incombenti, silenziose, necessarie a imbastire un thriller soprannaturale di tutto rispetto. Ci è voluto invece il Fantafestival per dare visibilità a un film girato circa quattro anni fa, che all’estero qualche buon riscontro lo ha già avuto ma in Italia stenta a ricevere le dovute attenzioni, complice la miopia dei distributori e di tanti organizzatori di festival. Il lungometraggio in questione si intitola Taglionetto. E pensare che ad averlo diretto è quel Federico Rizzo che, in precedenza, aveva sfornato un gioiellino come Fuga dal call center: commedia ricca di inventiva sul mondo del precariato, il cui sguardo umoristico sulle disgrazie italiche e sul senso di insicurezza proprio delle nuove generazioni era stato, al contrario, ben recepito.
Preso nel complesso Taglionetto non è forse altrettanto riuscito, soffre di quegli squilibri narrativi che lo fanno ondeggiare tra registri diversi, lasciando lo spettatore un po’ spaesato. Ma questa può essere paradossalmente la sua forza. Sono due storie di (ordinaria? Straordinaria?) follia a scorrere in parallelo, almeno all’inizio, fino a intrecciarsi inesorabilmente sullo sfondo di una Puglia che regala puntualmente qualche detour grottesco, impennate di violenza e certe immagini agresti, dietro la cui pace apparente si celano orribili segreti. Come bimbi molestati e gettati in un pozzo, o teste mozzate alla conclusione di una locale Notte della Taranta. Lo spunto iniziale è dato dal folle raptus che spinge l’introverso Giovanni Zanardo (ottimamente interpretato da Giulio Forges Davanzati: volto angelico, sguardo spiritato e riccioli alla Dodò) a massacrare la propria famiglia. Ma l’arrivo da Roma della bella e tormentatissima Anna, affermata psichiatra richiamata nella regione di provenienza per stendere una perizia psichiatrica, renderà la situazione ancora più esplosiva. Perché certi traumi avvenuti nell’infanzia della psichiatra non si sono mai rimarginati, e questo porterà ben presto la donna a perdere completamente il controllo…
Tra ferite del passato e atti di insensato sadismo localizzati nel presente, tra pomeriggi assolati e notti la cui calura partorisce pensieri insani, tra sfumature grottesche e momenti di pura suspance, Taglionetto compie un percorso cinematograficamente tortuoso in cui trovano spazio la solitudine, la ferocia, l’erotismo e persino quell’istinto per la commedia, che l’autore sembra non aver affatto perso: i siparietti buffi con protagonisti Nino Frassica, nel ruolo di un commissario di polizia che pare quasi orfano di Don Matteo, e il suo sottoposto, remano senz’altro in direzione dell’alleggerimento comico. Così come la maestosa bellezza dell’attrice greca Dorotea Mercuri assicura sia intensità drammatica che carica erotica al personaggio di Anna. L’impasto di toni e di situazioni che ne deriva non sempre appare ben amalgamato, ma riesce comunque a coinvolgere e a lasciare piacevolmente turbato lo spettatore.
Stefano Coccia