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Solo

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VOTO: 8

La colonna sonora della mia vita

Il cinema documentaristico può farsi portatrice di storie davvero sorprendenti, speciali e toccanti. Quella raccontata da Artemio Benki in Solo è una di queste. Il produttore francese con il vizio della regia è tornato dietro la macchina da presa per portarci alla scoperta della figura di Martín Perino, un giovane compositore argentino, virtuoso del pianoforte che, in seguito a un esaurimento nervoso, da tre anni è un paziente del Borda: il più grande e prestigioso, ma al tempo stesso discusso, ospedale psichiatrico dell’America Latina. Ragazzo prodigio, nonché talento più promettente della sua generazione, Martin cerca la propria strada per tornare alla vita fuori dalle mura dell’istituto e sul palcoscenico.
Ed è questo percorso di rinascita, non privo di ostacoli e ricadute, che Benki ha deciso di narrare in un documentario che ha fatto letteralmente il giro del mondo, raccogliendo importanti riconoscimenti nel circuito festivaliero internazionale sin dalla sua prima apparizione pubblica in quel di Cannes 2019 nella sezione ACID. A due anni di distanza la pellicola, seppur virtualmente, ha fatto tappa anche in Italia, inserita nel programma del 39° Bergamo Film Meeting, laddove abbiamo potuto avuto la possibilità di recuperarla e di apprezzarne le indubbie qualità. Qualità che sono il risultato di un approccio alla “materia” umana che si concentra sull’essere prima che sul suo disagio, sulla reazione per un ritorno alla vita e alla libertà prima che sul buio della malattia. Solo è un film sulla rinascita, quella di un uomo che ha fatto della musica la compagna inseparabile del suo percorso esistenziale e artistico.
Benki e la sua cinepresa accompagnano il protagonista nel quotidiano, mostrando gli effetti graduali di una rinascita che sembrava impossibile. Martín non riusciva nemmeno a girare per strada per quanta paura avesse a causa dell’agorofobia, di frequenti attacchi di panico e di una sindrome auto-referenziale che lo portava a pensare che tutti parlassero di lui o che lo pedinassero. Vediamo il protagonista mettersi tutto alle spalle, grazie alla musica che non ha mai smesso un attimo di suonare e comporre, anche nei lunghi mesi di permanenza nella struttura psichiatriche. Assistiamo a colloqui con amici, parenti e psichiatri, a sessioni di musicoterapia e a esibizioni al pianoforte all’interno di alcuni locali di Buenos Aires che ci restituiscono la forza di ricominciare di un uomo e il talento di un artista che nemmeno la malattia ha potuto cancellare.

Francesco Del Grosso

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