Un giusto compromesso
La globalizzazione ha come tutto dei pro e dei contro: da una parte può rappresentare un’occasione per intensificare e sviluppare idee, scambi, risorse ed esperienze, dall’altra può causare effetti collaterali in grado di mandare in frantumi equilibri, culture e tradizioni coltivate nei secoli. La globalizzazione è di fatto una tentazione che può abbagliare chiunque in ogni luogo, anche nelle zone più remote del pianeta, considerate le ultime roccaforti immuni e capaci di resistere al “virus” del consumismo sfrenato e dell’omologazione imperante. Ce lo dimostra Nicolò Bongiorno, regista e produttore creativo milanese nonché secondogenito del leggendario presentatore televisivo Mike, che con la sua cinepresa ci porta in Ladakh, una regione himalayana dell’India in profonda trasformazione, che sta affrontando un percorso di rigenerazione culturale costantemente in bilico tra il richiamo di una tradizione arcana e uno sviluppo rampante, che mette a rischio l’ambiente e snatura i suoi abitanti.
Con Songs of the Water Spirits, la sua ultima fatica documentaristica presentata nella sezione “Terre Alte” della 69esima edizione del Trento Film Festival, ci dimostra che nemmeno un angolo di paradiso come quello viene risparmiato. L’incremento del turismo selvaggio, il cambiamento climatico, l’imbarbarimento e l’urbanizzazione, sono fenomeni che stanno mettendo a rischio l’ecosistema e persino le tradizioni di quei luoghi, dove uomo e natura hanno per decenni stretto un patto non scritto di convivenza pacifica. Un patto che adesso è fortemente a rischio, con i primi devastanti effetti che sono già visibili sulle persone e sulle terre che abitano: dalle montagne di rifiuti accumulati nelle valli alla desertificazione, dalla fuga dei giovani verso le metropoli al discioglimento dei ghiacciai. Tutto questo è stato documentato con grande attenzione da Bongiorno nel corso di tre anni di lavoro sul campo nell’Himalaya Kashmiriano, nel tentativo di raccontare la sfida di una società “laboratorio” incastonata tra i deserti di alta quota e alcune delle vette più alte e spettacolari del mondo, travolta dall’impatto dei cambiamenti climatici, e alla ricerca di una “nuova” via verso un “antico futuro”.
L’autore firma un diario di viaggio filmato nel tempo della stanzialità e nello spazio topografico, due elementi necessari raccogliere testimonianze in loco tra gente del posto e una schiera di professori di linguistica, filmmaker, ambientalisti, ingegneri e avvocati. Il tutto per mostrare gli effetti collaterali di cui sopra, ma anche i tentativi di arginarli o di trovare il giusto compromesso tra passato, presente e un futuro che inesorabile avanza. Per farlo si rivolge proprio a menti coraggiose che vogliono superare questo dualismo proponendo una mediazione virtuosa per restare se stessi senza chiudersi al mondo, valorizzando gli stimoli di una modernità che non implichi una mutazione antropologica. Motivo per cui Songs of the Water Spirits non è stato concepito solo per puntare il dito, ma anche per mostrare come le esigenze dell’uno possano trovare dei punti di contatto con l’altro. La chiave sta dunque nel trovare il giusto compromesso.
Ciò fa del film di Bongiorno un atto che denuncia e al contempo stimola al dialogo, nel quale i contenuti vanno di pari passo con la componente visiva. Come nei reportage naturalistici vecchia scuola, si assiste a una carrellata di immagini suggestive catturate con i droni che sorvolano lande, distese e morfologie montuose, restituendo sullo schermo delle cartoline in movimento di panorami mozzafiato che si rimane incantati a guardare. Ed è emozionante assistere a quelle meraviglie e provoca anche dolore vederle deturpare.
Francesco Del Grosso