Comprendere il passato attraverso il presente
Come ormai in molti sappiamo, dagli anni Venti fino a metà degli anni Novanta circa, nella cattolica Irlanda molte ragazze madri venivano mandate in convento, al fine di poter dare alla luce i loro bambini. Costrette a vivere in condizioni pessime e, spesso e volentieri, a subire maltrattamenti, queste giovani donne, quando non abortivano spontaneamente, non avevano nemmeno l’opportunità di poter crescere i loro figli, dal momento che questi ultimi venivano immediatamente dati in adozione. Volendo, dunque, restare in ambito prettamente cinematografico, delle loro storie ci è stato già raccontato, giusto per fare un esempio, da Stephen Frears nel 2013 con il suo Philomena, in concorso quell’anno alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma se questo suo lungometraggio ha messo in scena il tutto dal punto di vista di una di queste madri (impersonata per l’occasione dall’eccellente Judi Dench), ecco arrivare, in corsa per l’ambito Orso d’Oro sugli schermi della 74° edizione del Festival di Berlino, una storia che tratta il medesimo argomento, ma che analizza il tutto da un punto di vista maschile. Stiamo parlando del lungometraggio Small Things Like These, ultima fatica del regista Tim Mielants, tratto dall’omonimo romanzo di Claire Keegan, nonché film d’apertura di questa Berllinale 2024.
La storia messa in scena, dunque, è quella di Bill Furlong (un sempre ottimo Cillian Murphy), commerciante di carbone che, nell’Irlanda degli anni Ottanta, lavora duramente da mattina a sera al fine di garantire un futuro alle sue cinque figlie. Un giorno, egli assiste per caso alla scena in cui una giovane ragazza viene accompagnata dai genitori in convento contro la sua volontà. Già questo evento gli farà rivivere ricordi piuttosto dolorosi, ma soltanto nel momento in cui l’uomo ritroverà la stessa ragazza, di notte, a dormire al freddo in mezzo al carbone, la situazione si complicherà ulteriormente.
Paragonato al precedente Philomena, Small Things Like These si avvale indubbiamente di una messa in scena molto più “asciutta” e cruda. Le musiche sono ridotte all’essenziale, le ombre hanno la meglio sulle luci (fatta eccezione per i momenti riguardanti i flashback del protagonista) e ai dettagli di mani sporche di carbone che vengono lavate con vigore al termine della giornata e, naturalmente, ai primi piani sul volto del protagonista viene affidato l’impegnativo compito di fare da attori principali. Tim Mielants, dal canto suo, muove la sua macchina da presa con grazia e grande esperienza, regalandoci spesso eleganti carrellate che, nel mostrarci gli ambienti in cui vive o ha vissuto il protagonista, non si rivelano mai fini a se stesse.
Passato e presente si alternano in continuazione, in Small Things Like These. Bill ritrova nel presente il suo passato e il suo rapporto con sua madre, mai realmente compreso quando egli era ancora bambino. Ma se il passato, ormai, non può più essere cambiato, cosa si può fare del presente? Seguendo tale quesito, dunque, Small Things Like These si avvale di una sceneggiatura complessivamente semplice, in cui i conflitti interiori del protagonista svolgono un ruolo centrale. Una sceneggiatura che punta il dito direttamente contro le istituzioni religiose, che da sempre svolgono in Irlanda un ruolo di prim’ordine, e che pecca solamente della mancanza di qualche guizzo in più. Ma sta bene. D’altronde, al termine della visione, il film ci arriva comunque con tutta la sua potenza emotiva, rivelandosi un’apertura della Berlinale decisamente soddisfacente e, se vogliamo, di gran lunga migliore di molte altre aperture che negli scorsi anni hanno fatto da protagoniste su questi schermi berlinesi.
Marina Pavido