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Sette Minuti

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VOTO: 7,5

Il tempo di una confessione sofferta

Sette minuti. Sette minuti dura una sigaretta, il tempo di un discorso. Tutti i discorsi che mi sono preparato mentre fumavo e che non ho mai pronunciato. Se fossimo capaci di parlare alle persone come parliamo a una sigaretta… anni fa qualche collega mi proponeva di fumare assieme, ma io fumo da solo. Anche se, quando fumo, mi sento meno solo”, così si espone ed espone la propria solitudine, la voce fuori campo presente nel cortometraggio di Alessia Bottone, già autrice in precedenza dell’ottimo La Napoli di mio padre.
Sette Minuti, per l’appunto. Il tempo di un discorso da fare a se stessi, il tempo di una sigaretta. Mentre 15 minuti circa dura un altro discorso, ovvero il discorso filmico della giovane cineasta, la quale attraverso un film di montaggio intessuto di materiali preziosi (da una delle didascalie iniziali apprendiamo che tale lavoro è stato prodotto in collaborazione con HomeMovies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, più avanti vedremo comparire svariate volte il logo del LUCE) è riuscita a far emergere dalle nebbie del tempo una possibile storia, due personaggi, quello che racconta e colui che viene raccontato. Si chiamano rispettivamente Alfredo e Mario. E come ci ha detto la regista stessa questa breve opera vuole essere lo spin off dei personaggi della pellicola diretta da Mario Monicelli, Parenti serpenti, allorché Alfredo, dopo un’accesa discussione familiare, rivelava a tutti la propria omosessualità e il suo amore per Mario, preso così in contropiede assieme ai poco recettivi congiunti del primo.

Immaginandoli invecchiati, ormai divisi, con destini determinati da scelte radicalmente diverse, Alessia Bottone ha provato a ipotizzare la loro sorte negli anni successivi al tumultuoso “coming out” del lungometraggio, acquerellandone le conseguenze attraverso un felice montaggio di immagini di repertorio e di scene prima girate e poi adattate al racconto, per affinità o per contrasto. Ciò che ne esce fuori, in quel continuo saliscendi emotivo, caratterizzato anche dai repentini passaggi dal bianco e nero al colore, non è soltanto il ritratto di due anime tormentate ma non ugualmente toccate dal coraggio di esistere; bensì un affresco più ampio e in chiaroscuro dell’Italia stessa, avviatasi malinconicamente alla fine di un boom economico cui non aveva corrisposto, però, un’adeguata crescita e maturazione sociale rispetto a temi delicati come, per esempio, l’omosessualità.
Il corto in questione, realizzato attingendo a una profonda conoscenza del mezzo cinematografico, ha già ottenuto diversi riconoscimenti. Tra questi anche il premio come Miglior Cortometraggio Documentario, ricevuto ad ottobre a DocuDonna 2024. Oggi 14 dicembre lo si potrà rivedere di pomeriggio nella Tuscia, per la precisione a VITERBOshort, neonato Festival del Cortometraggio – organizzato presso il Teatro San Leonardo – che lo ha voluto in concorso nella sezione “Corti a Tema Libero”. Molto interessanti le scelte effettuate dalla direzione artistica viterbese, capitanata dal film-maker Michelangelo Gregori, che per i “Corti a Tema Sociale” ha opzionato anche quel La città oltre il tunnel di Lucilla Colonna a noi ben noto da tempo, mentre proprio tra i lavori a tema libero segnaliamo Just Kids di Roberto Urbani ed Embrasse-moi (Baciami) di Hristo Todorov direttamente dalla Francia.

Stefano Coccia

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