Il sonno ed il risveglio
Affermare che il cortometraggio La città oltre il tunnel diretto da Lucilla Colonna sia un semplice omaggio al cinema di Federico Fellini sarebbe cosa corretta ma anche oltremodo scontata. Le citazioni abbondano, a partire dal seminale – almeno a giudizio dell’autrice – La città delle donne (1980). Tuttavia l’intelligenza dell’operazione non risiede affatto nella competente revisione dell’opera (omnia) felliniana, variegate letture psicoanalitiche comprese. Bensì nel sagace ribaltamento delle stesse, perfettamente aggiornato alla contemporaneità.
Una donna, Francesca (interpretata dalla brava Francesca Ceci, ottima nel dare volto al percorso evolutivo del personaggio nell’arco del film), si addormenta nel corso di un viaggio in treno con destinazione ignota. Al suo risveglio la realtà precedente pare mutata in qualcosa di esotico dall’atmosfera neppure troppo vagamente surreale. Anche se il primo impatto con l’universo maschile, in questa nuova dimensione esistenziale, risulta intriso di esplicita volgarità esattamente come accade purtroppo molto spesso nella vita di tutti i giorni. Francesca allora scende dal treno, iniziando un nuovo percorso di crescita, tra strambe figure di un microcosmo tutto da decifrare.
Se Federico Fellini, nel già menzionato La città delle donne, metteva l’Uomo in crisi di fronte al tramonto del cosiddetto modello patriarcale, Lucilla Colonna esegue invece una completa, classica, tabula rasa. La protagonista de La città oltre il tunnel si trova nella condizione di dover, prima di tutto, comprendere appieno se stessa. Solo in seguito affermare la propria identità attraverso un mondo tanto diverso quanto ricco di significati occulti. Una sorta di coming of age in età adulta, ulteriore testimonianza di come non esista mai un termine anagrafico per smettere di ricercare una definita – ma mai definitiva – consapevolezza.
Ne La città oltre il tunnel l’analisi della figura retorica femminile riesce ad essere, assieme, divertente e profonda. La curiosità iniziale dello spettatore diviene, nell’arco dei quindici minuti di durata del corto, immedesimazione nella situazione a prescindere dal sesso di chi guarda. Il racconto di (de)formazione acquisisce toni di universalità, divenendo non solamente invito a riconsiderare il ruolo femminile nella Storia artistica e non (esemplare, in questo senso, la divertita sequenza della lezione scolastica) ma soprattutto far capire che sarebbe finalmente arrivato il momento di guardare il mondo con uno sguardo nuovo, abbandonando vetusti stereotipi. Una possibilità che tutti, a partire dalla protagonista Francesca, siamo chiamati a riconoscere ed eventualmente cogliere.
Quello di Lucilla Colonna non è, dunque, uno sguardo femminile sterile in tempi dove anche battaglie sacrosante per la parità di genere vengono svilite dalle troppe correnti d’opinione viziate da ideologia o interessi di parte; il cortometraggio, nella sua ricercata e voluta eccentricità, mette in gioco qualsivoglia preconcetto affidando il cosiddetto “messaggio” veicolato alla personale sensibilità di ogni spettatore, indipendentemente dall’orientamento sessuale di quest’ultimo. Sempre ribadendo, però, che la ricerca e l’affermazione dell’Io è un cammino senza fine che abbraccia l’intera durata di ogni singola esistenza. Fino al fatidico momento di un ultimo risveglio, come accade nel finale a Francesca, tanto simbolico quanto foriero di un’epifania di sguardo completamente vergine.
La visione de La città oltre il tunnel, impreziosito dalla bella fotografia di Andrés Arce Maldonado e Cristian Iezzi nonché da un cast di supporto estremamente in parte che appare coinvolto appieno nell’operazione, lascia spazio a domande più che a risposte. Come ogni prodotto cinematografico dotato di una qualche ambizione, al di là del semplice intrattenimento, dovrebbe potere e saper fare.
Daniele De Angelis