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Selma – La strada per la libertà

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VOTO: 7.5

Martin Luther King e la marcia per il “voto” nel bio-epic di Ava DuVernay

One day, when the glory comes/ It will be ours, it will be ours/…no weapon/…Freedom is like a religion to us…”.
Un cammino di pace per affermarsi alla vita, per abbattere il veto del pregiudizio e dell’opportunismo. Selma. Battaglia senza armi, resistenza senza ricatti, per la “gloria” dei diritti nel pantano della politica padrona: Martin Luther King e il sogno praticabile del voto ai neri, nel film diretto da Ava DuVernay (prima regista di colore ad essere nominata ai Golden Globes).
Una via crucis lastricata di lotta dentro e attraverso l’orrore di una diseguaglianza razzista e omicida, imposta da una stretta di mano fasulla, da un agguato di propaganda, da una persecuzione multiforme. Selma – La strada per la libertà ha le luci pastellate e l’odore polveroso, l’umore caldo e la pazienza febbrile scritta sulla pelle dell’Alabama, paese dove la regista ha trascorso la sua infanzia. Forte della sua lunga esperienza dietro le quinte del giornalismo e della produzione televisiva, DuVernay fonde dossier, docufiction ed epica afroamericana, deviando dall’enfasi ribelle del collega Spike Lee e affondando con prudenza nel melodramma, con un grande spot democratico dritto al cuore del pubblico fedele a Oprah Winfrey (anche attrice e producer del film).
A brillare del riflesso splendore dei discorsi di Martine Luther King, il volto mimetico, staticamente implosivo del protagonista David Eyelowo, re composto di un cast che trascina  un bio-epic monocromatico, saldo e fulviale. Ritratto d’epoca corale, che punteggia con le sue tonalità e pose hopperiane tanto le ambiguità e debolezze del Martin uomo “comune” e fallace, i suoi tradimenti alla moglie devota, il suo timore di ritorsioni familiari e politiche, la sua strategia sottile per la vittoria; quanto i dubbi e le spaccature nei movimenti per i diritti civili; tanto il tortuoso percorso di accordi e disaccordi tra King e il presidente Lyndon B. Johnson, già impelagato nella guerra in Vietnam e strattonato dai conservatori e dall’FBI; nonché i rovelli della popolazione pronta al massacro per uscire dalla gabbia sanguinosa del silenzio.
DuVernay marcia, insieme ai suoi caratteri, perentoria e suadente. Più che messaggi sociali sui  confini e le manifestazioni parossistiche della e per la libertà, DuVernay cerca, taglia e pesa una verità storica scarsamente conosciuta. La sofferta controversa marcia per il diritto reale di voto per i neri d’America, stigmate dimenticata di quegli anni ’60 setacciati dall'”orrore”. Alternando scene di massa e face to face teatrali e lunghe inevitabili arringhe, DuVernay ripercorre i meeting King-Johnson per l’approvazione della legge federale sul voto ai neri, le prove della marcia dalla cittadina di Selma a quella di Montgomery, gli eccidi efferati perpetrati da polizia e lobbies politiche, le cospirazioni dell’FBI contro King, il tentativo complesso della strumentalizzazione della figura del predicatore nero, l’urlo e il furore del popolo, dentro l’orrore. L’orrore della vita abusata, denigrata fino alla negazione, sobillata fino alla detenzione del pensiero, scoraggiata fino alla perdita del desiderio. L’orrore dei diritti patteggiati nelle stanze ovali e nei gabinetti del potere ingordo. Compromessi, retrocessioni, derisioni. Moltiplicati nei volti terrorizzati eppure tesi nella speranza di potersi sollevare, ancora, e non solo per essere nuovamente “abbattuti”.

One day, when the glory comes/…Never look back, we done gone hundreds of miles/… Somewhere in the dream we had an epiphany/ Now we right the wrongs in history…One day, when the glory comes/… when the war is done, when it’s all said and done…
Un uomo e il suo “sogno”. Che sia o meno un incentivo agli ultimi fuochi del Presidente Obama, Selma sta per incidersi nella storia della Settima Arte, con la sua regista record woman e la sua canzone cult.
Resistence. Is us“.

Sarah Panatta

http://www.thespacecinema.it/portal/default/iomarcioperche

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