L’ultimo Re di Scozia
Diciamoci la verità: in determinate occasioni è necessario guardare in faccia la realtà delle cose, per quanto essa possa risultare brutale. Per noi comuni mortali la fine dell’esistenza terrena di Sean Connery, avvenuta ieri alla veneranda età di novant’anni, cambia molto relativamente la prospettiva dalla quale lo ammiravamo. Cioè dal basso verso l’alto. Lui, infatti, era in pratica un essere superiore. Di quelli in possesso di un’aura difficilmente spiegabile e descrivibile a parole. Con la sua sola presenza l’attore scozzese risultava capace di condurre una specifica opera cinematografica verso le vette altissime del culto. Citiamo due esempi, come perfetta sineddoche. Nel sublime western gangsteristico The Untouchables – Gli intoccabili di Brian De Palma (1987) la sola apparizione dell’integerrimo poliziotto di origine irlandese Jimmy Malone (geniale paradosso per un orgoglioso scozzese come lui…) eclissa il resto del pur validissimo cast, a parziale eccezione dell’Al Capone interpretato dall’istrionico Robert De Niro. E sia la barocca, rutilante regia di De Palma che l’acuta sceneggiatura di David Mamet si mettono al suo servizio, ben consapevoli che il film farà epoca soprattutto grazie alla sua performance da Oscar. Medesimo discorso ne Indiana Jones e l’ultima crociata, terzo capitolo di una delle saghe più popolari della storia del cinema, sempre firmata da sua maestà Steven Spielberg. Il povero Harrison Ford, nel ruolo dell’archeologo-eroe, può solo limitarsi a tenere botta, di fronte all’illustre genitore interpretato con impagabile ironia dal nativo di Edimburgo. Con una sequenza finale – la cavalcata dei protagonisti al tramonto – già da tempo consegnata alla pura leggenda cinefila.
Leggendario, appunto. Non può esserci appellativo migliore per descrivere lo status artistico di Sean Connery. Non siamo abituati all’uso delle iperboli, ma potremmo metterla in questo modo: quando il Dio cinematografico ha distribuito classe e carisma Connery doveva evidentemente trovarsi in cima alla coda, avendo fatto il pieno di entrambe le qualità. A questo punto avrebbe anche potuto fare a meno del talento recitativo. Niente, è arrivato anche quello, a rendere la sua immagine autentica icona non scalfibile dal tempo. Un interprete completo, capace di calcare con eleganza sia i set cinematografici che i palcoscenici teatrali. In grado di acquistare una popolarità mondiale vestendo gli abiti del più famoso agente segreto della Storia del Cinema e contemporaneamente riuscendo ad evadere da un ruolo, quello di James Bond, che avrebbe potuto benissimo imprigionarlo per l’intera carriera.
Tanti altri film, allora. Con parti sempre differenti in mano ad autori in grado di scrivere pagine indimenticabili nella Settima Arte. Sir Alfred Hitchcock (Marnie, 1964), John Milius (Il vento e il leone, 1975), John Huston (L’uomo che volle farsi re, 1975). Molteplici collaborazioni con Sidney Lumet. Tantissimi generi frequentati, dalla fantascienza di Atmosfera zero (in realtà un riuscitissimo western in maschera) di Peter Hyams nel 1981, al catastrofico Meteor di Ronald Neame (1979). Passando per opere in costume, tra cui lo squisito Robin e Marian (1976) di Richard Lester, in cui fa coppia con un’altra attrice iconica come Audrey Hepburn e persino escursioni nel filone genial-demenziale targato Monty Python con I banditi del tempo di Terry Gilliam (1981). Tutti film in cui il suo nome nel cast ha costituito un plusvalore di inestimabile portata.
A caratterizzare ulteriormente una carriera a tutto tondo non mancano i film sbagliati, tipo il western anomalo Shalako (1968) a firma Edward Dmytryk, ma anche scelte coraggiose come il fantastico-grottesco Zardoz di John Boorman (1974), per alcuni un pasticcio scombinato ma per molti – compreso chi scrive – un’opera di visionarietà unica e assoluta nonostante l’inevitabile flop alla voce incassi. Una filmografia dunque sterminata nella quale la sola presenza di Sean Connery rende un film, magari tutt’altro che indimenticabile, perfettamente in grado di uscire dalle secche dall’anonimato.
La nostra percezione della presenza di Sean Connery, ora, si è solamente spostata un po’ più in alto, rispetto al nostro abituale punto di osservazione. Ci pare di vederlo lassù, nell’Olimpo del Mito, a giocare placidamente a golf – sua grande passione – indossando l’amato kilt come solo i fieri scozzesi sanno fare. Perché le leggende non muoiono mai, cambiano solamente posizione nell’immaginario collettivo. Guadagnandosi per questo l’eternità.
Daniele De Angelis