Stay Alive
La scoppio di una terribile pandemia getta il mondo nel caos e gli esperti consigliano ai cittadini di auto-isolarsi per cercare di sopravvivere. Con una simile premessa la mente dello spettatore di turno non può che andare di default alle cronache attuali, che vedono l’intero pianeta alle prese con la diffusione del Covid-19. Virus, questo, responsabile di un numero in drammatico aumento di vittime e che ha costretto e sta costringendo milioni di persone alle varie latitudini a misure restrittive, tra forme di distanziamento sociale e lockdown generalizzati o localizzati. Insomma, quando si dice stare sul pezzo, con una corrispondenza tra la realtà e quello che viene raccontato in un progetto audiovisivo. Motivo per cui un film come Alone, almeno sulla carta, potrebbe attirare l’attenzione. La visione sugli schermi virtuali del 20° Trieste Science + Fiction Festival ci dice però altro, ossia che a parte la lunga ed estenuante quarantena forzata che si trova ad affrontare il protagonista della pellicola di Johnny Martin, con i vari escamotage attraverso i quali l’uomo prova a mettersi in contatto con l’esterno (video messaggi, frasi scritte su cartelli e via dicendo), la narrazione prende una piega decisamente differente.
In Alone del virus in questione responsabile della pandemia non si sa nulla. L’unica cosa certa è che trasforma coloro che vengono infettati in creature rabbiose e fameliche. Dunque, mettiamo da parte qualsiasi riferimento al tragico presente per tornare nella sfera dell’immaginifico, nello specifico in quella all’interno della quale ha preso forma e sostanza il plot del film del cineasta e produttore californiano. Nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa, l’ex stuntman racconta l’odissea di Aidan, un uomo che al risveglio si ritrova intrappolato nel suo appartamento, completamente isolato dal resto del mondo e impossibilitato a contattare i suoi cari, mentre gli infetti occupano l’intero edificio. La sua disperata situazione pare migliorare quando si accorge della bella Eva, che vive nell’appartamento dall’altro lato del cortile. Ne nasce una storia d’amore, fra il caos circostante e i messaggi che i due si scambiano. Senza più elettricità e con le scorte in esaurimento, Aidan decide di rischiare il tutto per tutto.
Con lo script di Matt Naylor, Martin firma così uno zombie-survival-movie 2.0 all’epoca dei social, attraverso una personale rivisitazione di Castway, nella quale il protagonista, al posto di un pallone e di un’isola deserta, si trova confinato nel perimetro di un condominio invaso da morti viventi, con in dotazione un pc e una mazza da baseball, inseparabile arma di difesa nel momento in cui deciderà di avventurarsi all’esterno del suo appartamento per andare in soccorso dell’amata dirimpettaia di nome Eva. Un nome scelto non a caso e che in coppia con Aiden vuole chiaramente rievocare riferimenti biblici. Peccato che quello che fa da sfondo è un condominio infestato, non il giardino dell’Eden. Riferimenti a parte, Alone non ha nulla di sostanziale e sostanzioso da aggiungere al filone, se non questo attaccamento iniziale al realismo, alle conseguenze psicologiche del confinamento e una componente sentimentale che lega i due personaggi principali. Dettagli che per ¾ della timeline potrebbero fare la differenza, ma che negli ultimi adrenalinici minuti riportano il tutto nei canoni e negli stilemi del genere di riferimento. Quindi nella normalità e del già visto.
I più attenti frequentatori del filone non si saranno fatti sfuggire i non pochi punti di contatto con The Night Eats the World di Dominique Rocher, in cui un uomo dopo avere partecipato a un party si barrica nella casa per sfuggire al resto degli invitati che nel frattempo si sono trasformati in una orda di zombi. Ma è con #Alive di Cho Il-yung che il film del collega statunitense deve suo malgrado fare i conti, visto che la pellicola altro non è che la versione coreana del medesimo script di Naylor, frutto a sua volta del webtoon del 2014 dal titolo Dead Days. La versione asiatica ha un impatto empatico maggiore, una scrittura più incisiva e una resa decisamente più alta in termini di messa in quadro e di costruzione della tensione, con Alone che al netto di un sali e scendi qualitativo appare come una fotocopia sbiadita
Dell’esperienza audiovisiva in sé ci porteremo a casa un prodotto comunque capace di intrattenere, con l’incursione eni minuti finali di Donald Sutherland che, nei panni di un condomino, dà una scossa recitativa al lavoro davanti la macchina da presa. Il resto è ben noto a coloro che hanno potuto vedere #Alive su Netflix, che tra le due resta sicuramente l’esecuzione migliore.
Francesco Del Grosso