La Lapponia ha l’oro in bocca
For beer I’m working
For beer I’m fighting
For beer I’ll do
Whatever I have to
When drunk I’m talking
When drunk I’m joking
When drunk I can be as I’ve
Always wanted to be
Korpiklaani, “Beer Beer”
Una parte rilevante della discografia dei Korpiklaani, leggendario gruppo folk metal originario di Lahti, Finlandia, può essere considerata inno all’alcool e alla convivialità. Tra i loro successi troviamo infatti brani come “Tequila”, “Jägermeister” (vale la pena qui riportare anche il ritornello: Jägermeister, Jägermeister / Born for those who makes no compromises / Jägermeister, Jägermeister / We don’t need no other medication), “Vodka”, “Let’s Drink” e, per l’appunto, “Beer Beer”.
Del resto chiunque abbia fatto l’esperienza di un sabato sera a Helsinki, magari in pieno inverno come il sottoscritto, qualche immagine a tema ce l’ha ancora in testa: nello specifico larghi viali innevati e/o attraversati da una fitta nebbiolina, gruppetti di adolescenti a dir poco brilli all’uscita dei locali ivi situati, la silhouette dell’ubriaco solitario di turno che barcolla zigzagando nella notte, qualche chiazza di vomito associata talora a odore di urina in un vicoletto un po’ più appartato, momenti di euforia tra i più scalmanati ancora in circolazione. Tutto in aperta contrapposizione, volendo, con il grigiore e l’andamento più ordinato delle giornate lavorative, in quelle terre scandinave dove la stessa rigidità del clima sembra indurre a certe reazioni.
Anche depurato di questi eccessi, il culto della birra in Finlandia risulta diffuso presso ambo i sessi. E vi è un brand locale che per decenni ha quasi monopolizzato l’attenzione dei consumatori: Lapin Kulta. “L’oro della Lapponia”, volendo tradurne il nome. Lo stabilimento primigenio della Lapin Kulta si trova non a caso a Tornio, località della Lapponia situata quasi al confine con la Svezia, in un territorio caratterizzato anche dai tanti specchi e corsi d’acqua: elemento parimenti importante, questo, per la birra che vi si produce. Produce… o produceva?
The Master Brewer, splendido corto documentario in concorso al Mescalito Biopic Fest 2021, proprio questo percorso prova a condensare: l’ascesa, il declino e la recente rinascita dello storico stabilimento di Tornio, per mano di uomini che alla produzione della birra si sono applicati con una passione e una dedizione ammirevoli.
Tra i protagonisti del vivace racconto cinematografico realizzato dal finnico Antti Haase vi sono per l’appunto Leo Andelin, creativo mastro birraio che fu tra gli artefici della ricetta originale, ed il suo erede Kaj Kostiander, che dopo la crisi (indotta da fuori) dello stabilimento si è mosso, in anni recenti, per far ripartire l’attività. Sebbene loro siano più Jedi che Sith, verrebbe da commentare: “Sempre due ci sono, né più, né meno: un maestro, e un apprendista“!
Scivolando dal toccante bianco e nero delle immagini di repertorio al colore, The Master Brewer sintetizza alla perfezione una storia appassionante, che colpirà in particolare gli amanti della birra ma che non risulterà indifferente neanche a chi, molto saggiamente, ha ben chiari i pericoli della globalizzazione. Di questa movimentata storia fanno parte, oltre a scene di produzione da documentario industriale, anche alcuni spezzoni presi da spot televisivi o reportage giornalistici invero assai divertenti. Ad esempio la pubblicità accompagnata da un jingle il cui testo, per le sue implicazioni, ci è impossimile non riproporre: “La bevanda nazionale della Finlandia / è sempre stata la birra con la schiuma / nonno la gustava / anche papà ne alzava un boccale / Ilmari, l’eterno fabbro, / la beveva intorno al fuoco / e Väinämöinen, l’eterno bardo / ne cantava le lodi“.
Come si può notare anche i personaggi del Kalevala, principale poema epico della tradizione ugro-finnica, vengono coinvolti scherzosamente nella canzoncina!
Eroe moderno, l’anziano Leo Andelin è stato per decenni (dal 1962 al 1999) mastro birraio al servizio della Lapin Kulta. Prima di partecipare alla creazione dell’amatissima bevanda si era formato a contatto con esperti tedeschi, laddove la cultura bavarese abbonda di detti come “una birra senza schiuma è come un uomo senza testa”. Ricerche approfondite sui lieviti, sull’acqua da utilizzare, sulla luppolatura stessa hanno portato alla nascita di quella birra che in breve ha cominciato a dominare il mercato della nazione scandinava e a ricevere riconoscimenti importanti, sia nelle fiere di settore che da parte di eminenti personaggi pubblici: emblematico il passaggio in cui viene citato il discusso presidente finlandese Urho Kekkonen, le cui vicende politiche e personali non sono di certo estranee a chiunque abbia scoperto, magari da poco, un altro sorprendente documentario e cioè Olliver Hawk di Olavi Hakasalo.
Anche senza introiettare nel discorso la zona grigia della politica, adesso che l’era della globalizzazione ci ha proiettato verso stagioni di tagli e mutamenti traumatici, pure l’epos contemporaneo della Lapin Kulta è andato incontro a un “villain” adeguato ai tempi: la Heineken, multinazionale del malto che dopo aver acquistato assieme a quelli di altri paesi tale stabilimento lo ha brutalmente chiuso, smantellando la fabbrica, licenziando coloro che da anni ci lavoravano e spostando la produzione altrove. Un’altra tradizione che rischiava di perdersi, quindi, situazione che abbiamo vissuto anche in Italia con birrifici come la Pedavena, salvata da simili manovre pure grazie al peso di una petizione popolare. Nel caso di Lapin Kulta l’alleanza tra l’esperto Leo Andelin e il più giovane e volenteroso Kaj Kostiander sta portando a una rinascita del birrificio di Tornio, operazione senz’altro travagliata, ma ricca di quell’ingegno e di quell’umanità che, alla faccia delle strettoie della globalizzazione, si possono ammirare in The Master Brewer.
Stefano Coccia