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Rocketman

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VOTO: 7

L’amore prima di tutto

Dopo il successo planetario e i riconoscimenti raccolti da Bohemian Rhapsody, la pellicola che ripercorre l’ascesa inarrestabile dei Queen e del suo indimenticabile frontman Freddie Mercury, un’altra icona del rock approda sul grande schermo. Stavolta è il turno di Reginald Kenneth Dwight, al secolo Sir Elton Hercules John, la cui vita e la cui carriera sono diventati il tessuto narrativo e drammaturgico di Rocketman. E con la speranza di replicare il fortunato cammino dell’opera firmata da Bryan Singer, anche Dexter Fletcher (che di Bohemian Rhapsody è stato il produttore esecutivo) ha scelto di battezzare la sua ultima fatica dietro la macchina da presa con il titolo di una canzone che ha fatto la fortuna di colui che l’ha incisa e in questo caso il singolo del 1972 estrapolato dall’album “Honky Château”.
Quello presentato in anteprima mondiale nel fuori concorso 72° Festival di Cannes, ad una manciata di giorni dall’uscita (il 29 maggio) nelle sale nostrane con 20th Century Fox, è sulla carta il classico biopic realizzato in corsa che rimette insieme tutti gli highlights del percorso esistenziale di un grande nome del panorama musicale internazionale. Lo schema e l’architettura del racconto sono, infatti, quelli tradizionali del filone biografico, con il riavvolgimento del nastro sino alla tenera età che funge da pista di decollo per un “viaggio” fisico, emozionale ed esperenziale tanto nella sfera pubblica che in quella privata. Di conseguenza si assiste e si ripercorrono le tappe di un tour umano che segue una progressione temporale lineare (la scoperta del talento da enfant prodige del pianoforte, il rapporto conflittuale con la sua famiglia, in particolare con la figura paterna, la fortunata collaborazione con il sodale autore dei testi Bernie Taupin, oltre agli incontri sentimentali e professionali che hanno segnato nel bene e nel male la sua storia), con il flusso orale che si innesca quando l’Elton John una volta raggiunto al contempo il punto di rottura (l’autodistruzione con alcool, droghe e rapporti promiscui) e la fama mondiale decide di redimersi e di disintossicarsi da tutto e da tutti. Ed è in una stanza di una clinica, davanti ad un gruppo di sconosciuti, che ha scelto di mettersi a nudo.
Lo spettatore di turno vede e soprattutto ascolta questa confessione sincera e onesta, che non epura e non tralascia (come invece accaduto in altre operazioni analoghe) anche gli aspetti più delicati e controversi. In tal senso, Rocketman ci mostra con onestà intellettuale tanto i momenti di gloria quanto quelli di dissoluzione, le virtù e il talento dell’artista quanto la sua disperata ricerca di amore e identità, ma anche le sue tante fragilità e cadute. L’Elton John di adesso è ben altra persona, ma non ha mai rinnegato quello che è stato, compresi quei vizi e quegli eccessi che ne hanno messo in discussione l’incolumità e la professione. Della serie: sesso, droga e rock ‘n’ roll. Ed è al suo passato che il film del cineasta londinese guarda intensamente nelle due ore tonde di durata per costruire un ritratto colorato, dinamico ed eccentrico, dove la musica occupa (come è giusto che sia) un ruolo determinante. Di fatti, alle esecuzioni diegetiche ed extradiegetiche dei brani del ricchissimo repertorio del cantante britannico, la componente musicale risponde all’appello anche nella parte narrativa, stilistica e dialogica. Rocketman, infatti, affianca al biopic il modus operandi del musical e per farlo si avvale di efficaci coreografie (su tutte la concatenazione di piani sequenza dentro e fuori dal luna park), trovate immaginifiche e siparietti canori che consegnano allo spettatore di turno un film coinvolgente, ritmicamente pregevole e ben recitato (convincente Taron Egerton nei panni di Elton).

Francesco Del Grosso

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