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Rift

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VOTO: 9

Il tormento e l’estasi

L’Islanda, terra suggestiva e affascinante, è l’inusuale paese di provenienza di Rift, teatro della storia dolorosa dove si svolge questa pellicola rarefatta e impalpabile. Rift, vale a dire spaccatura o frattura, della crosta terrestre, in questo caso con riferimento diretto al terreno vulcanico che contraddistingue questi splendidi ma spesso inospitali paesaggi.
Ma la spaccatura in questione si riferisce anche alla relazione ormai sfaldata tra i due protagonisti, Gunnar (Björn S. Stefánsson) e Einar (Sigurdur Thor Oskarsson). Mentre Gunnar sembra aver recuperato con facilità dopo la rottura e ha intrapreso una nuova storia d’amore, Einar invece si sente perso e alcuni mesi dopo decide di trasferirsi in un cottage isolato di proprietà dei suoi genitori, per cercare di superare il dolore. Una notte lascia un drammatico messaggio nella segreteria dell’ex compagno che fa presagire un possibile atto inconsulto, spingendo Gunnar a raggiungerlo. Al suo arrivo, rimarrà risucchiato da una serie di avvenimenti bizzarri e personaggi spaventosi, in un continuo turbinio di ricordi che investono lui e Einar mentre cercano di venire a patti con la fine della loro relazione.
I due protagonisti reggono per lo più il film completamente da soli e lo fanno in modo davvero convincente, sfoderando due performance di tutto rispetto, nei panni di una coppia tormentata dagli spettri del passato e del presente, persi in un mistero avvolto da ombre maligne, rivelazioni dolorose e dubbi senza risposta. Il superbo score musicale curato da Einar Sv. Tryggvason si compone non solo di melodie magnetiche e suadenti ma di un vero e proprio corollario sonoro che amplifica con conturbante precisione le presenze estranee, in modo molto simile a come avveniva nel capolavoro ansiogeno Gli invasati di Robert Wise (1963). L’elemento che eleva inoltre Rift a una qualità stupefacente è la sbalorditiva fotografia sulfurea di John Wakayama Carey, che incornicia i paesaggi spettrali islandesi in modo straordinario, trasformandoli in scenari quasi alieni. Una visione ipnotica e misterica che sembra trasportare in un’altra dimensione, ancestrale e selvaggia, dove niente è quello che sembra e tutto può essere il contrario di tutto.
Il regista Erlingur Thoroddsen, dopo aver partecipato a Patient Seven con il segmento Banishing e al suo secondo lungometraggio dopo l’horror Child Eater (entrambi del 2016), con Rift fa il salto di qualità scrivendo e dirigendo un thriller psicologico con venature orrorifiche dall’atmosfera ambigua e sfuggente, un oggetto straniante e misterioso da cui è impossibile non rimanere mesmerizzati.

Ilaria Dall’Ara

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