Chi sono e cosa faccio
Antonio Monda, attuale e futuro direttore artistico della Festa del Cinema di Roma, non ha mai nascosto la predilezione e il suo amore sviscerato e incondizionato nei confronti di Steven Spielberg e del suo cinema, dichiarandolo pubblicamente in più di un’occasione. Probabilmente nel corso del suo primo mandato alla guida della kermesse capitolina avrà provato in tutti i modi, ma senza riuscirci purtroppo, a portare a Roma il celebre cineasta statunitense o quantomeno le sue ultime fatiche dietro la macchina da presa, a cominciare da Il ponte delle spie e Il GGG – Il grande gigante gentile (finito poi a Cannes 2016), per finire con l’imminente Ready Player One. Sicuramente lo slittamento dell’uscita nelle sale americane a marzo 2018 avrà tagliato le gambe alle già flebili speranze. I tentativi andati a vuoto non hanno, però, impedito a Monda di portare sugli schermi romani della 12esima edizione qualcosa che riguardasse il suo cineasta del cuore, qualcosa che parlasse di lui. Nella line up 2017, tra gli Eventi Speciali, ha quindi trovato posto Spielberg, il documentario che Susan Lacy ha realizzato sulla figura del regista, sceneggiatore e produttore di Cincinnati.
Il marchio HBO che precede l’inizio della pellicola ne rivela subito la natura e la destinazione, ossia quella per il piccolo schermo. Il dna televisivo del progetto è, infatti, palese sia nella costruzione architettonica della narrazione che nella confezione tecnica e grafica. Tali componenti restituiscono allo spettatore di turno esattamente quello che ci si potrebbe aspettare da quel genere di prodotto nato e sviluppato per la fruizione domestica. Di conseguenza, le pretese del pubblico nei confronti di questa tipologia di opera audiovisiva devono giocoforza essere commisurate a ciò che il risultato in questione è capace, vuole ed è disposto a offrire. Per cui, l’approccio alla materia di chi guarda dall’altra parte dello schermo deve essere a misura e soprattutto consapevole sin dal principio di cosa sta per vedere. Accettate le cosiddette regole del gioco, solo allora lo spettatore potrà godere a pieno della visione di un documentario come Spielberg. Avere avuto la possibilità di assistere a una proiezione sul grande schermo nel corso della Festa del Cinema di Roma 2017 ha messo in chiara luce croce e delizie del progetto: da una parte i limiti dell’impostazione televisiva con la quale è stata concepita l’opera, dall’altra ha creato il giusto solco visivo utile a distanziare le immagini catturate dalla regista da quelle potentissime e indimenticabili alle quali il protagonista ha dato vita in un catalogo di film rivoluzionari nel corso di quasi cinquant’anni di carriera. Ne deriva un cristallino appiattimento formale che ha ridotto il lavoro della Lacy ai minimi termini, ossia alla sola raccolta di materiali di repertorio e di interviste a camera fissa a Spielberg, a colleghi (tra questi Lucas, De Palma e Scorsese), attori (Bale, Di Caprio, Hanks, Dreyfuss), maestranze, produttori e critici cinematografici, che coistituiscono la spina dorsale della timeline. Dunque, se la pellicola ha motivi di interesse, questi non sono di certo legati a come l’autrice ha disegnato sulla tela dello schermo il ritratto del suo celebre connazionale, piuttosto ai suoi contenuti.
In questo documentario, il regista americano si sposta davanti alla macchina da presa e si confida sulle sue principali influenze e motivazioni. Rivisitando una filmografia straordinariamente varia, il film rivela come le esperienze di Spielberg abbiano nutrito il suo lavoro, mettendo in evidenza i temi ricorrenti delle sue opere: il distacco, la riconciliazione, il patriottismo, l’umanità, la meraviglia. Spielberg è un “viaggio” orale che prende forma e sostanza attraverso il racconto dello stesso protagonista, nel quale il baricentro, salvo interessanti ma brevi incursioni nel privato (il rapporto conflittuale con il padre, il trauma seguito alla separazione dei suoi genitori, l’allontanemanto da adolescente dell’ebraismo successivamente riabbracciato, il divorzio dalla prima moglie e il matrimonio felice con la seconda), resta l’evoluzione dell’artista. Nel mostrare passo dopo passo le varie fasi di questa evoluzione, la Lacy è stata capace però di andare oltre l’esaltazione della maestria tecnica, che non ha eguali, all’argando lo spettro della timeline ad altri importanti aspetti: l’umorismo, il rischio, l’inconscio e la fede in se stesso.
Vedere Spielberg è un po’ come sfogliare una biografia di un artista su wikipedia, ma per fortuna le emozioni qui non mancano e sono legate principalmente alla possibilità di poter scorrere nuovamente con i propri occhi una carrellata di estratti di film che sono scolpiti nell’immaginario comune e nella Storia della Settima Arte. Ma attenzione perché la “lettura” richiede dieci volte il tempo richiesto dalla consultazione sul web del noto portale enciclopedico. La durata richiesta dalla visione del documentario, infatti, va oltre le due ore, cosa che non accade spesso per un prodotto televisivo.
Francesco Del Grosso