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Psychosis in Stockholm

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VOTO: 6

Minore non accompagnata

Ci sono eventi che una volta accaduti ti segnano per tutto il resto della vita, lasciando cicatrici profonde nel cuore e nella mente di chi le ha vissute. Anche in questo caso il mondo si divide in due categorie di persone, alle quali corrispondono reazioni opposte e contrarie: c’è chi decide di sotterrare, rimuovere e dimenticare, e chi come Maria Bäck ha scelto invece di riportare a galla quei ricordi e farne addirittura un film. Non è la prima e nemmeno l’ultima volta che un o una regista attinge dal proprio vissuto, anzi è pratica piuttosto comune. A cambiare semmai sono le motivazioni che hanno fatto maturare in loro tale decisione. Ora non è dato sapere se per la cineasta svedese il portare sullo schermo Psychosis in Stockholm, presentato in concorso alla 22esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, abbia avuto una funzione catartica, liberatoria o terapeutico, utile a esorcizzare e combattere i fantasmi del passato, oppure nulla di tutto questo. Ma una cosa è certa, quei ricordi e gli eventi vissuti sulla sua pelle, più o meno romanzati, sono diventati la materia narrativa e drammaturgica del suo esordio alla regia nei film di finzione.
La pellicola ci catapulta senza rete di protezione, senza se e senza ma, nel flusso mnemonico dell’autrice, da lei tradotto nelle immagini, nei suoni e nelle parole che vanno a comporre un intenso dramma familiare. Le protagoniste sono una madre e una figlia dirette a Stoccolma per festeggiare i quattordici anni della ragazza. Sul treno la madre comincia ad avere strani comportamenti e la figlia teme che stia per essere colta da un nuovo attacco psicotico. Nonostante i sintomi della donna, le due cercano di continuare la vacanza come da programma. Quando le condizioni della madre si aggravano, la figlia è lasciata a se stessa e coglie l’occasione per esplorare Stoccolma per pochi magici giorni e notti in solitaria.
Facile intuire che la più piccola tra le due donne sia proprio la regista, che a distanza di vent’anni ha trasformato quel viaggio fisico ed emozionale nel racconto al centro di Psychosis in Stockholm. Il ché ne fa un film autobiografico, in tutto e per tutto personale, che affonda le radici in un vissuto che diventa la materia prima di un racconto che alterna durezza e dolcezza, realismo e magia. Ciò si traduce in un tour nelle topografie fisiche e dell’anima dove le emozioni dei personaggi rappresentano il motore portante della narrazione, molto più delle azione compiute e del vagare senza meta e in libertà della protagonista. A tenerla ancorata alla realtà la malattia della madre, qualcosa dalla quale diventa impossibile sfuggire, perché ciò che le lega è indissolubile. Quello della Bäck è prima di tutto un film sull’incondizionato rapporto tra una madre e una figlia, che il destino ha voluto sovvertire, ribaltandone i ruoli. E le due interpreti, Josefin Neldén e Josefine Stofkoper, sono bravissime a trasmettere sullo schermo tutto il carico di stati d’animo, sentimenti ed emozioni cangianti del quale il film si è fatto portatore sano. Peccato che il flusso vada a intermittenza e ai momenti più forti e coinvolgenti (vedi l’attacco psicotico della madre al gate dell’aeroporto) se ne contrappongano altrettanti nei quali la situazione che si viene a creare mette quelle stesse emozioni in ghiacciaia.

Francesco Del Grosso

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