Mal d’Africa
Solleva temi da dibattito, questo Prendre le large (letteralmente Prendere il largo, nella traduzione italiana), lungometraggio francese diretto da Gaël Morel e presentato nell’ambito della Selezione Ufficiale della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Forse persino in quantità eccessiva. A cominciare, ovviamente, dalla tematica del lavoro in questi tempi di scarsissime certezze occupazionali. Edith Clerval è una donna di mezz’età, impiegata in una società tessile in Francia. La dirigenza però intende delocalizzare – verbo dal significato quantomai sinistro, oggigiorno – la fabbrica in Marocco per questioni di costi più vantaggiosi. Solo Edith, tra tutte le operaie, accetta il trasferimento a Tangeri, a dispetto della paga inferiore e delle difficoltà di adattamento. La sceneggiatura dello stesso Morel ha così buon gioco nel descrivere la situazione del personaggio principale pre e post spostamento. L’omosessualità del figlio ad insaputa della donna, le causa quel forte shock che la porta alla decisione definitiva. E gli inizi nel paese nord-africano saranno tutt’altro che morbidi.
Prendre le large trova la propria ragion d’essere nel raccontare l’inserimento di Edith nella nuova realtà. La fotografia del Marocco contemporaneo appare sincera, con una condizione femminile precaria in paese in continua costruzione fisica e morale. Sandrine Bonnaire si dona coraggiosamente nel ruolo di una donna ferita dalla vita e alla continua ricerca di se stessa, a prescindere dal luogo dove tale processo avverrà. In fondo il film di Morel non è altro che il resoconto di un’evasione. Dal castello di solitudine in cui Edith si è volontariamente rinchiusa. Prevedibile allora la nascita di un sincero rapporto con alcune persone del luogo. Non sarebbe però la scontatezza diegetica il primo limite di Prendre le large, quanto piuttosto una serie di svolte narrative che lasciano trasparire una sin troppo accurata preparazione a tavolino del prodotto. Il piccolo calvario professionale – e conseguentemente di salute – al quale va incontro Edith in terra africana suona strumentale in vista della catarsi finale, con la risoluzione dei vari rapporti affettivi che circondano la protagonista. Anche la tematica del lavoro, di stringente attualità, pare un semplice pretesto per far emergere le dinamiche interpersonali tra tutti i personaggi. Peccato, poiché quando Prendre le large assume le sembianze di un semi-documentario su due realtà ambientali estremamente differenti tra loro da molti punti di vista funziona e nemmeno poco; mentre è l’approfondimento interiore a girare un po’ a vuoto, descrivendo i mutamenti che intercorreranno nell’intimo con evidente superficialità.
Per realizzare un’opera meno omologata sarebbe stata dunque necessaria la mano di un Laurent Cantet, tanto per rimanere in terra transalpina. A Gaël Morel, invece, sfugge una visione armonica del suo lungometraggio, preferendo l’autore quarantacinquenne concentrarsi su quelli che ritiene elementi universali come amore materno ed amicizia. Fortunatamente c’è Sandrine Bonnaire a risollevare i non pochi momenti di stanca o di scarso realismo del film: il suo talento la conferma tra le più importanti attrici francesi del presente, dopo essere stata considerata una folgorante rivelazione nella metà degli anni ottanta grazie alle interpretazioni in opere quali Senza tetto né legge (1985) di Agnés Varda e Sotto il sole di Satana (1987) di Maurice Pialat. Vederla recitare, anche e soprattutto ora che il viso denota i segni dell’età esaltando così le sofferenze dei personaggi interpretati, resta un piacere cinefilo di notevolissime proporzioni.
Daniele De Angelis