Che simpatica vecchina!
Se ci si limita a pensare alla cinematografia polacca concentrandosi esclusivamente sugli ultimi decenni, possiamo notare che non sono pochi gli autori che, ognuno a proprio modo, sono entrati di diritto nella storia del cinema. Primo fra tutti, troviamo, ovviamente, Krzysztof Kieślowski, ma anche il recentemente scomparso Andrzej Wajda, così come Krzysztof Zanussi e Agnieszka Holland – senza contare altri grandi nomi di cineasti che hanno girato la maggior parte dei loro lavori fuori dalla Polonia stessa, come Jerzy Skolimowski ed il grande Roman Polanski. Ripercorrendo mentalmente le filmografie di alcuni di loro, qual è il leit motiv che accomuna la maggior parte dei lungometraggi da loro girati? Ovviamente, la grande rilevanza data alla situazione storica e politica nazionale ed un forte impegno civile. Stesso discorso vale, nello specifico, per Agnieszka Holland, la più giovane di loro, che ha iniziato la propria carriera lavorando, appunto, come aiuto regista di Wajda e Zanussi, pur classificandosi, in generale, rispetto agli altri suoi colleghi, come maggiormente mainstream – per non dire addirittura come autrice minore. Salvo, infatti, nel caso di lungometraggi come Europa Europa o il recente In Darkness (candidato, nel 2013, al Premio Oscar come Miglior Film Straniero), la regista polacca ha spesso e volentieri fatto storcere il naso circa la sua produzione. Mantenendosi, in questa occasione, quasi a metà strada tra il film politicamente impegnato ed il mainstream, la Holland ha dato vita a Pokot, suo ultimo lavoro presentato in concorso alla 67° Berlinale.
La storia raccontata è, in realtà, piuttosto semplice: un’insegnante di inglese non più giovanissima, ha deciso di ritirarsi – in quasi totale isolamento, fatta eccezione, ovviamente, per quanto riguarda i propri studenti – in un piccolo villaggio polacco al confine con la Repubblica Ceca. Da sempre convinta animalista, la donna non fa che contestare il fatto che nella sua zona venga praticata la caccia. Quando, una sera, i suoi amati cani scompaiono misteriosamente, ecco che prende il via una lunga serie di delitti. Le vittime sono tutti gli appassionati di caccia della zona.
Come facilmente si può intuire, il tono del lungometraggio è piuttosto leggero, piuttosto indovinato per una crime story dall’impronta femminista ed animalista come questa. La protagonista stessa è, infatti, un personaggio che fin da subito – e senza particolari difficoltà – riesce ad incontrare le simpatie del pubblico, ben caratterizzata com’è, con tutte le sue bizzarre convinzioni e la sua passione per gli oroscopi. Al di là di ogni qualsivoglia tono umoristico, però, anche in questo suo ultimo lavoro la Holland ha deciso di inserire come sottotesto una forte critica alla società in cui vive, prendendosela, questa volta, in particolare con il cattolicesimo, fortemente radicato in una nazione come la Polonia. Il problema è che, in questo caso nello specifico, tale critica non sempre funziona. Al contrario, alcune scelte registiche – vedi, ad esempio, il momento in cui la chiesa del paese va in fiamme – risultano decisamente semplicistiche, per non dire addirittura ruffiane. Tante volte, infatti, anche senza sottolineare eccessivamente qualcosa, ma con semplici operazioni di sottrazione, il messaggio arriva eccome. Ma tant’è. Al di là di ogni possibile scivolone preso dalla regista, Pokot risulta in ogni caso, nel suo piccolo, un prodotto che, tutto sommato, si lascia seguire bene. È chiaro, però, che se – come abbiamo detto prima – si pensa agli illustri connazionali della Holland, un po’ di amarezza viene eccome. Soprattutto considerando il fatto che tale lungometraggio è addirittura in corsa per l’Orso d’Oro.
Marina Pavido