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Ping Pong: il ritorno

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VOTO: 8

Lezioni di tennistavolo sul grande schermo

Cinefili e amanti del tennistavolo di tutti i paesi, unitevi! E correte al cinema.
Innanzitutto, poiché non è affatto consueto imbattersi in tale disciplina sportiva, peraltro così avvincente (certi scambi tra i giocatori, oltre a essere imprevedibili, rocamboleschi, si trasformano in pura giocoleria) e divertente da seguire, su uno schermo cinematografico. Al momento ci viene in mente una sola esperienza spettatoriale paragonabile a quella che ci apprestiamo ad analizzare, ma dal timbro decisamente più iperbolico e fumettistico, in quanto ispirata al popolare manga in cinque volumi di Matsumoto Taiyo: il nipponico Ping Pong, presentato al Far East Film Festival nel 2003, film in cui le partite si arricchivano però di un elemento surreale grazie all’ampio e “barocco” ricorso alla computer graphics da parte del regista, Sori Fumihiko, specializzatosi in tali produzioni dopo aver assistito James Cameron sul set di Titanic. Mentre l’impianto narrativo, nel lungometraggio datato 2002 e sbarcato in Friuli l’anno seguente, poteva ricordare arcinote serie animate come la cestistica Slam Dunk, per l’analogo e vorticoso susseguirsi di sfide sul campo, accese rivalità personali e precarie amicizie, nate queste ultime proprio facendo sport insieme.

Abbiamo quindi esordito citando Udine e il Far East. Ecco, pur così diverso nel rapportarsi alla competizione sportiva, Ping Pong: il ritorno dei cinesi Deng Chao e Yu Baimei non sfigurerebbe di certo nella kermesse friulana, tanto che averlo potuto ammirare sul grande schermo ci ha riportato un po’ alle atmosfere del Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Del resto tale festival negli ultimi anni ha “sdoganato” parecchi film sportivi, riferiti alle più svariate discipline, di produzione di volta in volta coreana, giapponese, cinese. Ma proprio dalla Cina arrivano generalmente le opere cinematografiche in cui, come nel caso in questione, al desiderio dei singoli sportivi di primeggiare viene affiancato uno smisurato orgoglio nazionale, nella cui affermazione e caratterizzazione non è certo sbagliato scorgere intenti propagandistici, patriottici.
Fatta questa lunga premessa, ci fa enorme piacere che una nuova realtà come Imago Communication stia puntando proprio sul mercato cinematografico cinese; tanto da portare nelle sale italiane un film come Ping Pong: il ritorno, predestinato in un certo senso a fare da ponte tra le due culture, se si considera il pittoresco e movimentato prologo ambientato a Roma.
Personaggio centrale del lungometraggio diretto da Deng Chao e Yu Baimei è infatti un illuminato coach di ping pong, ispirato qui alla leggendaria figura di Cai Zhenhua: atleta plurimedagliato nei primi anni ’80, chiamato poi proprio in Italia come allenatore per risollevare le sorti (con esiti almeno discreti) di una federazione da sempre poco blasonata, capace in seguito di resistere a qualsiasi altra lusinga economica proveniente dall’estero pur di tornare in patria e allenare una nazionale cinese maschile scesa ai minimi storici tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, a causa delle ripetute sconfitte mondiali e olimpiche. Se storicamente il ping pong in Cina è Tradizione, a testimoniarlo le 37 medaglie d’oro e 66 totali alle Olimpiadi, vinte nelle varie specialità (maschile, femminile, misto; singolo, doppio e a squadre), l’emergere di grandi giocatori provenienti da Corea del Sud, Germania, Francia, Belgio e soprattutto Svezia, da ricordare qui Jan-Ove Waldner campione olimpico a Barcellona nel ’92, aveva messo in grave crisi il settore maschile. Studiando le nuove tattiche europee, facendo pressioni sulla federazione cinese per un impegno economico maggiore, rimotivando i giocatori più in là con l’età e scoprendo nuovi campioni tra i giovanissimi, Cai Zhenhua riuscì a invertire la tendenza, riportando la squadra maschile ai fasti di un tempo.

In una durata di oltre due ore (che non sono certo poche) Ping Pong: il ritorno riesce quindi ad appassionare lo spettatore agli allenamenti, alle gare, al clima delle grandi competizioni internazionali, forte anche di riprese tecnicamente e stilisticamente curatissime che, attraverso un ralenti o un particolare angolo di ripresa, riescono sempre a enfatizzare il gesto sportivo. Ma ancora più interessante è probabilmente lo sfondo sociale, vivace, ben tratteggiato, che pulsa nelle singole storie del coach, della sua famiglia, dei suoi assistenti e di tutti quei giocatori selezionati per la Nazionale, venendo così a comporre un mosaico perfettamente rappresentativo del gigante asiatico in costante trasformazione.

Stefano Coccia

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