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Breathing Underwater

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VOTO: 7,5

La luce nonostante il buio

Chi come noi ha già incontrato in passato la scrittura e la regia di Eric Lamhène attraverso la visione di cortometraggi, documentari ed episodi di serie televisive sa quanto lui sia attratto e si occupi spesso e deliberatamente di temi sociali e argomentazioni dal peso specifico rilevante. Ecco allora che coerentemente con tale propensione e mission artistica anche il suo lungometraggio d’esordio dal titolo Breathing Underwater (Hors d’haleine), presentato in concorso alla 25esima edizione del Festival del Cinema Europeo, non poteva che affondare le mani in tematiche di strettissima attualità e d’interesse comune.
L’opera prima del cineasta lussemburghese, sceneggiata con Lee Rae Lyn (che firma anche la fotografia), infatti ha preso forma e sostanza da un amalgama di storie di vite reali di donne vittime di violenze fisiche e psicologiche che romanzate sono poi diventate quelle dei personaggi del film, a cominciare da quella della protagonista Emma, portata via nel cuore della notte coperta di lividi e inaspettatamente incinta. Mentre affronta la sua gravidanza e i turbamenti emotivi che la incatenano a suo marito Marc, Emma riscopre parti perdute di sé attraverso il rapporto, ora affiatato ora conflittuale, che via via si instaura con le donne e i bambini del rifugio dove si trova. Così, i drammi personali si intrecciano e, nonostante le differenze, tra le donne nasce una delicata sorellanza, che le porta a sostenersi a vicenda e a lottare per la propria dignità e indipendenza.
Il tema su e intorno al quale ruota e si sviluppa Breathing Underwater è fin troppo chiaro e viene trattato dall’autore seguendo traiettorie mai banali, all’insegna di un’assoluta autenticità emotiva che è particolarmente attenta a non scivolare come spesso accade quando si chiamano in causa i suddetti argomenti nelle sabbie mobili del voyeurismo e della spettacolarizzazione della sofferenza. Il merito del lavoro svolto sia in fase di scrittura che di messa in scena sta proprio nell’avere evitato quelle trappole e avere costruito e trasferito sullo schermo esperienze ed emozioni reali. Il risultato infatti è un film palpitante di dualità, fatto di sofferenza, dolore e violenza, ma anche di forza, gioia e soprattutto speranza. Il viaggio di Emma, Khadij, Sascha ed Esperanza è solo l’inizio del lungo percorso che le donne vittime di abusi domestici intraprendono per ricostruire la loro vita. La pellicola di Lamhène in tal senso racconta le prime tappe di questo complesso percorso di rinascita, liberazione ed emancipazione dal dolore e dalla violenza fisica e psicologica da parte di donne come Emma costrette a lottare contro l’aguzzino e il carnefice di turno. E sono opere come queste che, anche se non hanno il potere di cambiare il mondo, almeno sanno come fare leva sui cuori e le menti delle persone incoraggiando il pubblico a un dialogo e un dibattito aperto sulla questione.
La forza di Breathing Underwater sta principalmente nel suo modo onesto, diretto e senza fronzoli di rappresentare e riprodurre le verità, con uno sguardo che lavora in maniera chirurgica e quasi documentaristica in sottrazione. Lo fa con una regia che fa un passo indietro, scegliendo sempre la giusta distanza e un rigore formale che si mette al completo servizio della storia, della tematica, delle emozioni, dei silenzi, dei personaggi e di chi li interpreta, a cominciare da una Carla Juri da brividi, che nei panni di Emma offre un’interpretazione di straordinaria intensità emotiva che tocca picchi altissimi nelle scene della gita notturna al lago, in quella dell’ennesima violenza subita o del faccia a faccia con il marito dell’epilogo.

Francesco Del Grosso

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