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PHI 1.618

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VOTO: 9

Sezione aurea di una distopia

Deve esserci, tra i registi bulgari contemporanei, una confortante vena di follia, capace di tanto in tanto di spostare in alto l’asticella dell’estro creativo e della visionarietà in senso lato. Ne è già valido esempio La belle Dame Sans Merci di Nikolay Bogomilov, che ha di recente ricevuto la Menzione Speciale del PREMIO TALENT INDIECINEMA, alla terza edizione del festival capitolino, “per il picaresco, originale intreccio di suggestioni letterarie, ambientazione medioevale ed elementi fantastici”. In pratica un onirico, camaleontico racconto allegorico tra sacro e profano, ambientato nel Medioevo in Francia e ispirato a testi poetici di quell’epoca, laddove il Reale e il Fantastico si mescolano di continuo.
La sorpresa è comunque raddoppiata di fronte a PHI 1.618, eccentrica distopia cinematografica in concorso al 22° Ravenna Nightmare. Il titolo del lungometraggio di Teodore Ushev, animatore e illustratore bulgaro (ma attivo da qualche anno anche in Canada) di lungo corso e qui al suo primo lungometraggio “live action”, fa esplicito riferimento alla sezione aurea, o costante di Fidia, concetto matematico (e filosofico) ripreso qui in una prospettiva ovviamente umanistica, che vede barlumi di luce contrapporsi al dilagare della barbarie e della sopraffazione nel mondo di oggi; con a specchio l’ulteriore, sulfurea sottolineatura rappresentata da un’ardita, estemporanea e grottesca parafrasi dell’uomo vitruviano, cui si presta il co-protagonista Krypton a un certo punto della storia. E se quindi PHI 1.618, a partire dalla scelta del titolo, sembrerebbe fare l’occhiolino ad analoghe parabole cinematografiche incentrate sulla matematica, la fisica o la geometria, come ad esempio π – Il teorema del delirio di Darren Aronofsky o Moebius di Gustavo Mosquera, molto più numerose e stratificate sono le suggestioni letterarie, cinefile e iconografiche cui un così scoppiettante testo filmico inevitabilmente rimanda.

Assai stimolanti, a riguardo, anche le dichiarazioni dell’autore pervenute a Ravenna: “Quando abbiamo iniziato a preparare questo film, si trattava di una storia dispotica nel futuro, in un territorio sconosciuto. Quando abbiamo girato il film, era già diventata una storia contemporanea di realismo sociale nell’Europa dell’Est. Adesso il film sembra un dramma storico che si svolge davanti a noi ovunque nel mondo. Non bruciate i libri, leggeteli, perché la Storia è il nostro futuro e lì possiamo trovare ciò che ci aspetta”.

Ordunque, nella complessa allegoria fantascientifica di Teodore Ushev si allude a una cornice post-apocalittica, in cui i reggenti di uno stato totalitario sorto sulle ceneri di un’umanità degradata e agonizzante, dopo aver scelto un unico esemplare femminile di rara bellezza da “ibernare” (come in una farsesca parafrasi della “Sleeping Beauty”, la fiaba della Bella addormentata) a futura memoria, intendono affidare a individui maschili geneticamente modificati e resi praticamente immortali, i cosiddetti Bio-Titani, il destino di una razza umana che vorrebbero riformare, per non dire proprio rifondare. A uno di questi Bio-Titani, Krypton, viene assegnato il compito di ricopiare e catalogare tutti i libri esistenti, usando un formato avveniristico comprensivo di inchiostro visibile a pochi, per poi incenerire le vecchie copie cartacee. Una trovata di sceneggiatura tale, in pratica, da aggiornare vertiginosamente la poetica di Fahrenheit 451 , per poi alimentarla con elementi tipicamente “orwelliani”!
Fatto sta che Krypton “deraglierà” dal compito assegnatogli, nello stesso momento in cui da un testo proibito che egli dovrebbe limitarsi a distruggere si stacca, quale sua diretta emanazione, una figura femminile animata da una saggezza senza tempo, Gargara, che lo convincerà a “disertare”; così da affrontare assieme un lungo e periglioso viaggio nella circostante e desolata realtà, popolata da altre inquietanti creature, impresa dalla cui riuscita potrebbe profilarsi per la Terra un futuro diverso e meno opprimente.

Assistito sin dalle battute iniziali da una fotografia ispiratissima nelle scelte cromatiche, da un montaggio estremamente ritmico e da scelte grafiche sempre sorprendenti, PHI 1.618 prende le mosse da una rivisitazione originale e neanche troppo velatamente satirica dei canoni estetici presenti (o talora imposti) in URSS tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, con particolare attenzione alla propaganda, al “realismo socialista”, alle avanguardie storiche e ai manifesti agit-prop, per inglobare strada facendo un immaginario fantascientifico sempre più ampio: da Metropolis alla saga di Mad Max, dalle fantasmagorie di Jeunet & Caro a On the Silver Globe di Andrzej Żuławski , dall’eccentrica filmografia del tedesco Veit Helmer al russo Aleksej German col suo Hard to be a God.
Detto diversamente: nell’ottica dichiaratamente post-moderna adottata da Teodore Ushev ci si può scorgere davvero di tutto, in filigrana, ma resta geniale e di stretta attualità il fatto che il “viaggio dell’eroe” da lui orchestrato attorno a scelte iconografiche così ricche e variegate non perda mai mordente, visionarie intuizioni, coesione interna, parlandoci in fin dei conti dell’oggi senza però rinunciare ai tesori, cinefili e non, del nostro passato più o meno recente.

Stefano Coccia

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