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Penalty Shot

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VOTO: 7.5

Franc non aver paura di parare un calcio di rigore

Il Concorso Cortometraggi del 33° Trieste Film Festival ospita, tra gli altri, lo spigliato lavoro di un cineasta emergente, Rok Biček, che già nel recente passato aveva dimostrato di saper trasferire sullo schermo, con un certo acume, dinamiche giovanili complesse e racconti di formazione atipici. L’impronta peculiare del suo cinema si è così fatta apprezzare a livello internazionale. Del resto nella stessa Trieste ha avuto modo di brillare la stella di un regista, i cui lunghi Class Enemy (Razredni sovražnik, 2013) e Družina (2017) hanno pure ottenuto il prestigioso Premio Vesna per il miglior film, al Festival del Cinema Sloveno tradizionalmente programmato a Portorose.

Regie connotate da notevole freschezza e squarci di urticante veridicità, nel rappresentare l’universo giovanile, sembrano costituire il marchio di fabbrica del cineasta sloveno. Quale strumento mitopoietico migliore del calcio poteva esserci, allora, per testare nuovamente certe predisposizioni narrative?
Accattivante, sfrontata e a suo modo archetipica la cornice del corto: un campetto di calcio perso nel nulla, dove i giovanissimi Franc e Matija si stanno allenando a calciare e parare rigori manco fossero gli Holly e Benji dei Balcani. Ed è lo stesso Rok Biček (ispiratosi peraltro al racconto Dark Mother Earth di Kristian Novak), in una breve nota di regia, a chiarire ulteriormente l’impulso creativo che ha portato a Penalty Shot (Kazneni udarac, 2021): “L’infanzia di molte generazioni è stata segnata dalle relazioni createsi su un campo di calcio. I ruoli su questo ‘palcoscenico’ sono sempre gli stessi: siamo solo noi che, crescendo, da ‘bersagli’ diventiamo ‘attaccanti’.
Sintetico approfondimento della sua ispirazione, questo, che potrebbe valere anche da sinossi. Sì, perché in un contesto retrodatato che vede ancora quali idoli del momento l’immortale Diego Armando Maradona e il talento locale Robert Prosinečki, l’equilibrio creatosi tra i due bambini che sognano di diventare campioni viene rotto dall’arrivo di ragazzi più grandi, il cui apparente desiderio di coinvolgerli nel loro approccio al gioco più adulto rivela strada facendo derisione e atteggiamenti prevaricatori sempre più scoperti, evidenti. Ancora meccanismi di sopraffazione sociale e bullismo giovanile, nella sanguigna poetica del film-maker sloveno. Fino a quell’epilogo, stridente e rabbioso, che dell’agrodolce racconto di formazione riassume bene lo spirito.

Stefano Coccia

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