Tirate sul Professore
Presentato alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 2013, l’esordio dello sloveno Rok Biček approda finalmente nelle sale italiane grazie alla Tucker Film.
Un liceo, una classe particolarmente vivace e l’arrivo del nuovo professore di tedesco che sostituisce la collega in maternità: sono queste le coordinate iniziali di Class Enemy, tre punti cardine che andranno a costituire gli elementi primari della pellicola di Biček. Il microcosmo scolastico viene sconvolto dall’arrivo dell’algido professor Robert Zupan: i ragazzi, abituati a un clima amichevole e a una libertà espressiva forse troppo accondiscendente, si ritrovano a dover fare i conti con le rigide lezioni del nuovo sostituto. Zupan (un granitico Igor Samobor, tra i maggiori attori teatrali sloveni) è un uomo integerrimo, dotato di una forte disciplina che cerca di insegnare ai ragazzi attraverso le sue lezioni. Per lui lo studio è un dovere e un privilegio, non un diritto, e il suo compito è quello di elevare da semplici animali a persone una classe di ragazzi confusi, che non pensano neanche a cosa faranno nella loro vita. L’inimicizia e l’astio degli studenti non tardano ad arrivare. I metodi di Zupan sono troppo ferrei, l’uomo non lesina rimproveri agli studenti al limite dell’umiliazione; non è certo una di quelle personalità con la quale si può scendere a patti o con la quale si può empatizzare. La situazione degenera irrimediabilmente quando una ragazza, Sabina, si suicida il giorno seguente a un duro colloquio con il professor Zupan, dal quale esce sconvolta in lacrime: i ragazzi non hanno dubbi, la colpa della tragedia è del professore.
Il suicidio di Sabina è una scintilla che innesca una spirale di accuse, che vedranno inizialmente Zupan al centro del ciclone della ribellione dei ragazzi che cercheranno tutti i modi per mandarlo via dalla scuola, tanto da accusarlo di essere un nazista per i suoi metodi risoluti d’insegnamento. Zupan è il nemico di classe. I ragazzi, compatti, hanno il loro capro espiatorio sul quale riversare ogni loro malessere. La protesta ben presto includerà il sistema scolastico, chiamando in causa anche docenti e genitori in un rimpallo di accuse reciproche. Ma chi può proclamarsi veramente innocente?
Biček realizza un film teso, gelido, clinico: partendo dal microcosmo scolastico apre la sua riflessione sull’umanità tutta, mettendone in scena meschinità e ipocrisie. Il suicidio di Sabina è l’atto scatenante di una contestazione che si ripercuote su tutti, ma che punta il dito su un solo uomo, il quale diviene emblema dove celare il proprio malcontento. Il rancore si ripercuote su un colpevole, poiché vi è la necessità che ve ne sia uno: in questo modo il fronte è compatto nella lotta al nemico comune. Zupan è nel mirino, il sistema scolastico con i suoi modelli educativi anche: i ragazzi rimproverano ai docenti di non essere abbastanza ascoltati, implicano a tutti una parte di responsabilità nella morte di Sabina. Ma neppure loro sono esenti da colpe. In un’escalation di sospetti reciproci Biček allestisce un ring (il liceo) nel quale tutti si scontrano, le ragioni cambiano la loro prospettiva e le certezze si sgretolano.
Class Enemy non parla di suicidio, ma lo utilizza come pretesto per una riflessione sul rapporto tra potere e autorità, sulla superficialità dei rapporti, sulla manipolazione del dramma, sull’autoassoluzione. Sono i meccanismi umani il motore della pellicola, e in questo riscontriamo tutta la maestria di un giovane autore che riesce a tenere salda la materia narrativa tenendo le giuste distanze da ogni fazione, restituendocela in maniera distaccata e oggettiva. Gestendo la tensione sibillina che ribolle a ogni inquadratura, Biček confezione un’opera prima di assoluto spessore, che lo impone all’attenzione come uno dei nuovi giovani cineasti più promettenti del cinema europeo.
Giacomo Perruzza