I giorni dell’abbandono
Capita spesso che andando a scorrere i titoli presenti nella line-up del festival di turno ci si accorga che alcuni di questi sono stati immeritatamente collocati dal comitato di selezione fuori concorso, a favore di altri che, a conti fatti, non avrebbero dovuto trovare collocazione nella rosa dei film in competizione. Se pensiamo ad esempio alla 74esima edizione del Festival di Cannes, tra le pellicole che avrebbero meritato di prendere parte alla corsa alla Palma d’Oro, ma che invece è stata inserita nella sezione non competitiva battezzata Première, c’era tra le altre Stringimi forte, sesta fatica dietro la macchina da presa di Mathieu Amalric. Un’opera, quella firmata dal regista e attore, che dopo l’anteprima sulla Croisette, approda finalmente nelle sale nostrane con Movies Inspired a partire dal 3 febbraio 2022.
Se c’è dunque un film che avrebbe meritato ben altra collocazione nel cartellone della kermesse francese, quello è proprio Stringimi forte, ma ormai il danno è stato fatto ed è inutile piangere sul latte versato. Concorso o no, i meriti della pellicola non vengono messi in discussione e sono sotto gli occhi di tutti. Amalric punta forte su un testo pre-esistente, ossia la commedia Je reviens de Ioin di Claudine Galea, dalla quale il regista trae liberamente ispirazione per ottenere una sceneggiatura nuova di zecca incentrata sull’odissea di Clarisse (Vicky Krieps), una traduttrice felicemente sposata con Marc (Arieh Worthalter) e madre di due splendidi bambini, Lucie e Paul. Un mattina la donna sale in macchina e parte, lasciandosi alle spalle la sua vita e la sua famiglia. Il comportamento della donna sembra inspiegabile. Attraverso una serie di flashback e flash-forward la nebbia che avvolge una trama apparentemente ingarbugliata si dirada e lascia spazio al manifestarsi di un dolore destabilizzante. Durante il viaggio in auto si verrà a conoscenza dei motivi che hanno portato la donna a questa drastica scelta fino a chiedersi se sia lei che ha abbandonato la sua famiglia o viceversa.
Quello che prende forma e sostanza sul grande schermo è un puzzle fatto di frammenti di vita amorosa e familiare, che lo spettatore vedrà ricomporsi tassello dopo tassello attraverso il punto di vista della sua protagonista, con tutta la narrazione che viene filtrata dalle sue sensazioni e dal suo sguardo. Il tutto passa attraverso una frammentazione spazio-temporale non lineare, che finirà con il ribaltare completamente la prospettiva e l’idea iniziale in merito alla decisione presa dalla donna all’inizio del racconto. Questa si avventura nel classico road movie, con temi e stilemi al seguito che riguardano la scoperta e la riscoperta di se stessi, in questo caso di una donna sfuggente e criptica che nel bagaglio nasconde un dramma lacerante che ha deciso di portarsi dietro. Con la composizione a incastro, resa possibile da un montaggio chirurgico, disorientante e ben orchestrato che riavvolge il nastro per poi proiettarsi in avanti, il racconto mescola senza soluzione di continuità passato, presente e futuro, riportandoci laddove tutto è iniziato, un poetico coup de foudre in una discoteca. Un modus operandi che riporta alla mente le narrazioni ellittiche volute da Valerio Mieli per i suoi Dieci inverni e Ricordi?. Pellicole, queste, che come Stringimi forte fanno del tempo e del flusso di emozioni cangianti degli ingredienti fondanti.
Amalric usa la messa in scena e la fotografia dalle tonalità differenti, oltre al montaggio, per comporre un efficace rompicapo che consegna al fruitore un dramma nel dramma via via sempre più struggente ed emotivamente coinvolgente. L’asticella nel termometro sale e scende in maniera febbrile, anche grazie all’intensa interpretazione di Vicky Krieps, che rappresenta l’altro valore aggiunto di un’opera che lascia il segno.
Francesco Del Grosso